28 dicembre 2015

ALLONS ENFANT/16

 
Cristiano Menchini è il nuovo artista a rispondere ad Andrea Bruciati e nell’ultima domanda i ruoli si invertono

di

“Tenterò di spiegare che cosa intendo per metamorfosi. Secondo me, nessun oggetto può essere immobilizzato in una sua presunta realtà. Una pietra può essere una parte di muro, di una porzione di scultura, di un’arma letale, di ciottoli sulla spiaggia o di qualsiasi altra cosa…Quando mi chiedete se il particolare di un mio dipinto ritrae la testa di una donna, un pesce, un vaso, un uccello, o tutte queste cose insieme, non posso fornirvi una risposta categorica, perché questa confusione “metamorfica” è fondamentale per la poesia”.
George Braque, Dipingere è meditazione, pensieri sull’arte, a cura di Massimo Alessandrini, Pistoia, Via del vento edizioni, 2011

Parlami del concetto di metamorfosi applicato al tuo lavoro.
«Mi piace immaginare che l’elemento, anche quello più inerte, privo di vita propria, non sia mai identico a se stesso; subendo impercettibilmente, ma inesorabilmente, le trasformazioni causate dal trascorrere del tempo, dall’incidenza di fenomeni atmosferici e il condizionamento connesso all’ambiente che, a volte del tutto casualmente, si trova ad ospitarlo. Questo approccio ha dato luogo ad alcuni dipinti che rappresentano oggetti abbandonati in luoghi insoliti: carcasse di auto arrugginite finite giù dal ciglio della strada: lamiere e plastica avviluppate da un groviglio inestricabile di rovi dove la con-fusione di elementi vegetali e meccanici suggerisce organismi totalmente diversi, nuove entità».
Cristiano Menchini, Typhograpus n 7 acrilico acquerello su tela 172x161 cm 2015
C’è un problema di figurazione che affronti nella pittura?
«Non amo le linee rette: ogni volta che le utilizzo, mi danno un senso di rigidità generale, sagomando le parti. Preferisco forme più fluide che dialogano meglio tra loro, come in natura. Inoltre ci sono soggetti che rappresentati su carta hanno un effetto che, trasportati su tela, non hanno. Devo capire ogni volta quale è la tecnica giusta per l’immagine che scelgo di rappresentare».
La pittura è motivo di riflessione? Su che cosa?
«Certo, è il motivo per cui dipingo; la pittura mi permette di scandagliare, scoprire ed interpretare i vari aspetti del reale e dell’immaginazione. È come avere un ulteriore sguardo, dei nuovi occhi che ti fanno scorgere inaspettate vedute, come nei sogni. Mi interessa una figurazione che lentamente si discosta dal reale, dove la rappresentazione oscilla tra un’immagine astratta e figurativa e questa duplicità porta a un’interpretazione ulteriore carica di suggestioni simboliche che richiamano frammenti di luoghi e paesaggi apparentemente sconosciuti».
Quale è l’approccio alla superficie bidimensionale della tela?
«Prima di cominciare a dipingere ho bisogno di organizzare, strutturare bene quello che andrò a realizzare. Nel mio lavoro, la fase di progettazione è molto importante, anche a causa della tecnica che utilizzo. L’acquerello e acrilico su tela mi permettono di rappresentare l’immagine attraverso la stratificazione, giustapposizione di più piani. Il gioco delle trasparenze non consente facili correzioni in caso di errori o ripensamenti. Mi interessa molto e affascina questo modo di procedere. Posso lavorare sulla freschezza: una dimensione dell’opera in cui ogni particolare riveste estrema importanza, dove un sottile cambiamento può compromettere tutti gli equilibri».
Cristiano Menchini, Tillandsia, 238x238 cm, acrilico su tela, 2014
Trovi che la pratica pittorica sia capace di leggere le contraddizioni del presente?
«In parte. La realtà che ci circonda è densa di contraddizioni e il pittore, nel rappresentarla, anche se non del tutto o non sempre consapevolmente, ne diventa testimone e comunicatore. C’è sempre un collegamento tra la propria opera, la propria vita e il proprio tempo. Volendo affrontare dei temi attuali di contraddizione, credo che utilizzerei altri medium come il video o la performance, in grado a mio parere di trasmettere più efficacemente e direttamente il messaggio. Personalmente però non mi sento fuori dal tempo. Utilizzo la pittura più come un testimone silenzioso, ambiguo, che scandaglia le possibili realtà attraverso l’immagine. Questo apparente distacco mi dà equilibrio, la giusta distanza per meglio cogliere i diversi aspetti del presente».
Ti senti pittore?
«Sentirsi pittori non è sufficiente, bisogna esserlo attraverso una pratica constante in cui tutte le energie ed intenzioni sono rivolte a quello, in questo senso lo sono».
Parlami di colleghi che stimi e in che modo pensi di dialogare con loro.
«I recenti lavori di Andrea Grotto mi hanno molto colpito, dedicati alla caverna e ai suoi minerali. Altro pittore con cui mi ritrovo è Giuseppe Abate. Ci scambiamo spesso libri e discutiamo dei nostri lavori. Recentemente mi ha regalato La foresta di cristallo, un romanzo di James G. Ballard; narra di un cataclisma che trasforma cose animate e inanimate in cristalli, dai quali lentamente il mondo viene ammantato. Ne ho tratto spunto per uno dei miei ultimi lavori. Stiamo valutando insieme la possibilità di realizzare una serie di dipinti dedicata all’opera di questo particolare autore».
Cristiano Menchini, Omnia 30x40 acrilico acquerello su tela 2015
Le tue letture e i film che alimentano il tuo immaginario?
«In questo periodo sto leggendo Le meraviglie del possibile un’antologia di fantascienza. In questa raccolta, diversi autori esplorano le infinite possibilità della scienza, andando oltre la realtà, ipotizzando possibili futuri alternativi. Uno dei miei preferiti è Philip K. Dick con il libro Ma gli androidi sognano pecore elettriche da cui è stato tratto il film Blade runner. Un altro scrittore, già citato, è Ballard. Di lui mi colpisce molto la capacità di caricare ed esasperare il rapporto dell’uomo con le cose, rendendolo impotente, schiacciato, solo, come nel romanzo L’isola di cemento. Narra l’odissea di un architetto che, dopo un incidente in autostrada, rimane “rapito” in un non luogo: un prato abbandonato al centro di un raccordo autostradale, da cui il protagonista non riesce a fuggire, anche per la totale indifferenza dei molti automobilisti in transito. Impotente di fronte a questa forza e presenza misteriosa che lo schiaccia, troverà infine in se stesso la via per uscirne. Come film, Melancholia di Lars Von Trier. Apocalittico. Rappresenta la fine del mondo vista da una particolare angolazione, allucinata, esistenziale».
Un mondo fatto solo di minerali o vegetali: come lo immagineresti e perché sceglieresti uno rispetto all’altro?
«Sono sempre stato affascinato dal mondo vegetale. Nel corso di questi anni l’ho osservato e studiato attentamente, dedicandogli una serie di disegni e dipinti. Trovo stimolante immaginare un mondo di sole piante. La pietre e le rocce mi affascinano ma si tratta di una materia che ancora non conosco abbastanza. Tempo fa, ho letto un libro di Richard Connif, I cercatori di specie. Raccolta di storie documentate sulle imprese di studiosi e pionieri che viaggiavano alla ricerca di nuove specie animali e vegetali in territori inesplorati. Il testo, da un lato, mi affascina perché riesce a trasportarti, a farti immedesimare nell’esploratore, provando la gioia della scoperta di nuovi mondi; dall’altro lato, ti rivela forse il nostro più grande limite, la nostra incapacità di entrare in dialogo con la natura, rispettandone gli equilibri e le risorse. Pensando ad un pianeta di sole piante, immagino un ecosistema in cui c’è armonia, una connessione unitaria, chimica, nella quale gli organismi riescono a ricevere e produrre le energie per sopravvivere».
Cristiano Menchini, Cycas Aenigma 200x174,5 cm acrilico su tela 2014
Possibile ritrovare un senso di apocalittico, da “fine del mondo” in ciò che elabori?
«Sono originario della Versilia e un paio di volte, quando ero sulla spiaggia, mi è capitato di assistere a repentini cambiamenti climatici, dovuti a trombe d’aria. In quelle situazioni una delle cose che più mi ha colpito sono i minuti prima del cataclisma, la trasformazione che avviene nel paesaggio. Il mare si oscura, l’orizzonte turbina in un vortice di grigi, la luce del sole viene coperta da dense nuvole che la filtrano facendola trasparire e diffondere simile ad una luce gialla sovrannaturale che ammanta tutto, carica le nubi di un presagio che squarcia, opprime. Il vento cala in raffiche calde, mulinando, spazzando via tutto quello che incontra per scomparire come è arrivato. Quando dipingo le parti del quadro in cui rappresento le porzioni del cielo, affronto la superficie evocando quegli attimi: mi interessa dare all’immagine una tensione generale, densa di presagio come se stesse per accadere qualcosa, che allude ad una possibile catastrofe imminente, un cambiamento».
Trovi che vi sia un lato melanconico nei tuoi dipinti?
«Sigmund Freud, quando parla di melanconia, la descrive così: “L’ombra dell’oggetto cade sull’io. Non è il mondo che si svuota ma è l’io che si svuota e l’io si svuota perché sull’io cade l’ombra dell’oggetto”. Se guardo il mio lavoro alla luce di queste riflessioni, sono d’accordo che ci sia una vena melanconica che attraversa alcuni mie opere e mi riferisco, in particolare, alla produzione di paesaggi del 2014, in cui c’era un’attenzione alla rappresentazione di luoghi isolati, introspettivi, umidi; nei quali trovavo, rifugio, conforto. Adesso mi sento più libero in questo senso perché i dipinti sono più immaginativi, meno attaccati al reale, meno contemplativi, più concentrati in una dimensione del racconto, della meraviglia, dell’inaspettato».
Menchini: Hai dei filosofi di riferimento quando lavori?
Bruciati: «Partendo dalla filosofia moderna, a volo d’uccello, direi una certa corrente “intuitiva e mistica” che va da Marsilio Ficino a Giordano Bruno, poi innervata dal pensiero emotivo di Pascal. Avverto inoltre il fascino e la modernità del pensiero romantico di Vico, Rousseau e Leopardi fino a ritrovarmi in molti passi di Nietzsche. Con il XX secolo trovo inesauribili pensatori come Freud o Jung e spesso mi piace riflettere su figure geniali quali Marcuse, Baudrillard e Vattimo».

Cristiano Menchini nasce a Viareggio il 14 agosto 1986. Vive tra Venezia e la Versilia.

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