06 novembre 2015

Per una cosmogonia senza tempo

 
A Museion di Bolzano Cerith Wyn Evans realizza installazioni che sfidano la fisica. Ne viene fuori un mondo indefinibile, impercettibile. Forse intraducibile

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Cerith Wyn Evans – 1958 Llanelli, Galles, vive e lavora a Londra – è artista internazionale riconosciuto dagli anni ‘80, chiamato nel 2002 a Documenta11 e nel 2003 alla Biennale di Venezia. Museion di Bolzano presenta la sua prima mostra in un museo italiano grazie ad un vasto progetto, a cura di Letizia Ragaglia, che accoglie opere site specific, altre già realizzate ma mai mostrate in Italia, e opere presenti nella collezione dell’istituzione. Il filo conduttore del progetto, nell’ “Anno Internazionale della Luce”, è il rapporto tra luce e movimento, tra immaginazione e filosofia, tra astri e costellazioni, tra tempo e sensorialità. Luminosità, suono e movimento ne sono le coordinate in uno spazio bianco e dilatato che disorienta la percezione del visitatore invitato a intraprendere un percorso ascendente.
Al piano terra di Museion, nel passage che segna la relazione di contiguità tra interno ed esterno, tra paesaggio artificiale e naturale, due gigantesche colonne formate da tubi fluorescenti, che rimandano con efficacia allo stile dorico, costituiscono il pilastro della mostra. L’acceso biancore, la grande dimensione, la sintesi del rimando stilistico, la nettezza delle forme e l’irradiamento della luce costituiscono una presenza determinante e definita proprio nella mutevolezza fluida e accecante della loro percezione. Scultura di luce ma anche di vetro e gas, elemento architettonico ma anche rimando stilistico, sostegno ma anche dilatazione luminosa dello spazio, le opere aprono la mostra di Cerith Wyn Evans con un impatto davvero straordinario. 
Cerith Wyn Evans, vista della mostra
Molto diversa è invece la percezione del progetto che l’artista sviluppa al quarto piano del museo, interamente dedicato a lui. Nel biancore architettonico di questo spazio, che a volte sovrasta opere e interventi a causa della sua luminosità naturale e per le aggettanti vedute sul paesaggio montano, le opere di Cerith Wyn Evans sembrano letteralmente disperdere nell’ambiente parte della propria energia.  Singolarmente straordinarie per ricerca, forma e poetica, le grandi sculture e installazioni si dilatano nello spazio senza esserne protagoniste, quasi come pensieri nel moto infinito dello spazio. È infatti il suono delle sculture trasparenti Interlude (A=D=R=F=T), 2011/2014 e Interlude (A=D=R=F=T), 2014 che sollecita per primo la nostra attenzione grazie al rimando sonoro dei flauti di Pan. Solo a seguire appare la grande installazione luminosa sulla facciata trasparente ad ovest del museo: una grande pagina di luce composta da un testo di lettere al neon che narra l’esperienza di un’eclissi solare. Gli fanno eco i neon A Community Predicated on the Basic Fact Nothing Really Matters, 2013 e E=L=A=P=S=U=R=E (In Vitro), 2013, che prendono le mosse dagli interessi dell’artista per la fisica e in particolare gli esperimenti del CERN di Ginevra sul bosone di Higgs. Ellissi, cerchi e linee che, sospese nello spazio, riprendono nella forma la proiezione del bosone per alludere a spazi mentali sconosciuti e solo intuibili.
Cerith Wyn Evans, vista della mostra
Al centro dello spazio, sotto due panchine in metallo, appare, come oggetto fuori contesto, una bilancia del Berlin Park Hyatt hotel che Cerith Wyn Evans propone come opera e omaggio a Piero Manzoni: Socle du monde (Park Hyatt, Berlin) del 2008 si confronta con Socle du monde. Omaggio a Galileo del 1961. Due opere a rimando che forzano i confini imposti dalla scienza lavorando negli interstizi che filosofia e immaginazione occupano con un dialogo liberatorio ma altrettanto serrato e complesso.
Cornice di tutto il progetto, ma nella pratica altro elemento spiazzante, è il movimento impercettibile di alcune piante disposte a pavimento e illuminate da una luce stroboscopica: il colore scuro in contrasto con il chiarore dei neon bianchi e con tutta la luminosità del quarto piano del museo, insieme  alla spontanea e irrefrenabile necessità di toccarne la superficie per comprenderne la reale naturalità, immette gli spettatori in una messa in scena fuori dal tempo.
Ricercare i fenomeni fisici, forzarne i confini per aprire una ricerca poetica, sono gli obiettivi forse più evidenti di Cerith Wyn Evans per questo progetto espositivo che compone un viaggio sensoriale tra diverse temporalità, tra cose non dette o intraducibili. Ne consegue un omaggio all’indefinibile e all’impercettibile che raggiunge il suo obiettivo nella dispersione di energia delle singole opere per la dilatazione di uno spazio reale e mentale. 
In sintesi una mostra non facile e tantomeno empatica se vissuta e ragionata con i tempi del nostro quotidiano. Ma potremmo dire che Cerith Wyn Evans, con un calcolato ma indefinibile equilibrio, ha composto per Museion uno spazio altro, a disposizione di tutti coloro che, fuori dall’urgenza temporale della comprensione immediata, volessero immergersi in una cosmogonia senza tempo.  Non è un caso allora che i bambini incontrati nella mostra si muovessero in questo cosmo con totale naturalezza: nessuna ingenuità da parte dell’artista o dei bambini, semplicemente la capacità di stare nell’indefinibile. 
Paola Tognon

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