19 novembre 2015

L’intervista/Andrea Busto

 
COSA SIGNIFICA ESSERE FICO
Ha da poco compiuto un anno il museo torinese Ettore Fico (MEF). Ce lo racconta il suo direttore

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Durante la scorsa settimana di Artissima, il Museo Ettore Fico è stato preso letteralmente d’assalto per l’opening della mostra “Vanità/Vanitas”, regalando al pubblico momenti di pura emozione con la performance di Ruben Montini e Alexander Pohnert Think of me sometimes, lungo abbraccio d’amore sfinente, perfetta lezione del senso più profondo della Body Art storica. Ma il MEF nel corso di quest’anno ha visto la messa in atto di una serie di progetti di Arte Pubblica, la facciata del museo commissionata al giovane artista Luca Pozzi, in collaborazione con il CERN di Ginevra, per un tema “spaziale”, così come mostra dopo mostra risulta sempre sorprendente (e distribuito intelligentemente) lo spazio architettonico di un museo ancora nuovo, ma che ha già messo in cantiere una notevole programmazione. Ne parliamo con il suo direttore, Andrea Busto, che ci racconta come sono state le prime tappe.
Ricordiamo tre episodi che hanno caratterizzato il primo anno di apertura del museo Ettore Fico: 25mila visitatori, la produzione della mostra inaugurale di Alis/Filiol in dialogo con le opere di Fico (ottimo auspicio, visto che sono finiti in Biennale) e l’elezione a “museo imperdibile di Torino” dal Guardian. Ebbene, come avete fatto?
«Il MEF nasce innanzitutto come una grande scommessa di carattere culturale e imprenditoriale. Ricordiamo che si tratta del progetto di un’istituzione privata, la Fondazione Ettore Fico, presieduta dalla moglie dell’artista che ha voluto creare un nuovo centro culturale a Torino, diverso da quelli esistenti, peraltro molto prestigiosi. Per questo abbiamo immaginato un “contenitore” rivoluzionario, a partire dal progetto architettonico pluripremiato nel 2015 (Premio Internazionale dell’Ordine degli Architetti e Premio Architetture Rivelate) e segnalato dalle riviste Il Giornale dell’Arte e Artribune come miglior museo 2015, frutto di una stretta collaborazione con il giovane architetto torinese Alex Cepernich. I risultati eccellenti fin qui raggiunti ci hanno confermato che quanto da noi immaginato sulla carta si sta realizzando. Siamo molto soddisfatti del successo di critica e di pubblico, e l’obiettivo per il 2016 è incrementare ulteriormente il numero dei visitatori».
Vanità/Vanitas, vista della mostra
Qual è stata la sfida?
«Far convivere e dialogare nello stesso spazio artisti e poetiche molto diverse: l’abbiamo sperimentato con la fortunatissima mostra di Alis/Filliol che abbiamo sostenuto anche per il progetto del Padiglione Italia alla Biennale di Venezia e attualmente in mostra all’Istituto Italiano di Cultura di Parigi. Abbiamo prodotto con Amiat (l’Azienda Multiservizi Igiene Ambientale di Torino) le opere dell’artista francese Anita Molinero che hanno dialogato con la mostra “Plastic Days” e che sono stati esposti a Parigi al Jardin des Tuileries nell’ambito del programma off della Fiac».
Ettore Fico, collezionatissimo dalla Torino bene e non solo, grande pittore, non è stato particolarmente “indicizzato” dalla critica e dal sistema. La mostra di Alis/Filiol aveva dialogato molto bene con questa specie di naïveté, probabilmente per “opposizione”. Ma il rischio poteva essere quello di fare un clamoroso buco nell’acqua, giusto?
«Come dicevo, noi siamo molto interessati alle “contaminazioni”, lavoro che io avevo già cominciato alcuni anni fa al Filatoio di Caraglio e poi a Villa Giulia a Verbania. Siamo per altro ben consapevoli che l’opera di Ettore Fico s’inscrive in un periodo sociale e culturale ben diverso da quello odierno ed è portatore di una classicità di linguaggio. Il nostro pubblico è preparato, sa che da noi troverà il moderno e il contemporaneo, la fotografia storica e la performance, una commistione di espressioni coerenti e mai scontate. A tal proposito devo anche dire che, per esplicita richiesta del nostro pubblico, stiamo proponendo in museo una serie di piccole mostre personali dedicate al maestro, in uno spazio a lui riservato; attualmente, insieme alle altre mostre, esponiamo una selezione di sue opere degli anni Sessanta, periodo particolarmente interessante per tutta la pittura italiana. Questa è fondamentalmente la linea di dialogo che intendiamo adottare per il MEF, prova ne è la mostra “Vanità/Vanitas”, appena inaugurata, dove dipinti del Cinquecento e Seicento dialogano con una quarantina di artisti contemporanei, alcuni dei quali già molto affermati provenienti dalla collezione di Renato Alpegiani che l’ha donata al museo».
red Goudo, Diex du Stade, vista della mostra
Quanto costa il MEF nella sua gestione annuale ordinaria?
«Siamo ancora in una fase di rodaggio e assestamento e dare delle cifre corrette sarebbe un po’ come “dare i numeri”. Mi rifaccia la stessa domanda fra un anno e potrò essere preciso. Siamo comunque sotto il milione di euro. Inoltre il MEF spesso produce finanzia e acquisisce opere di artisti contemporanei realizzate appositamente per i nostri spazi. Ultimo, il progetto Diex du Stade, del fotografo Fred Goudon, lavori realizzati per la prima volta per il MEF, in esclusiva mondiale, in collaborazione con la società Stade de France. È molto importante per noi la produzione e l’acquisizione delle opere degli artisti che esponiamo e questa è una cifra che incide notevolmente sul budget».
E come si finanzia un progetto come il Museo Fico? Si riescono, attualmente, a mettere in piedi progetti a lungo termine?
«Un progetto come questo si auto-finanzia. La nostra ricetta è come per un buon piatto di cucina, mettiamo insieme buoni ingredienti ben dosati. La partenza è data da risorse private proprie a cui si aggiungono una piccola partecipazione pubblica e la collaborazione con le fondazioni bancarie cittadine che possono finanziare progetti con finalità nell’ambito del sociale e della didattica, che è un altro dei punti forti del MEF che, ricordo, sorge in un quartiere multietnico e oggetto di un’importante riqualificazione ambientale e sociale».
 Vanità/Vanitas, vista della mostra
La neo direttrice di Castello di Rivoli e GAM, Carolyn Christov-Bakargiev ha dichiarato che cercherà un dialogo con i cittadini e con gli attori culturali di Torino. Visto che si è parlato di veri e propri sondaggi, voi che percezione avete dell’arte contemporanea in città? Cosa serve di nuovo?
«Noi pensiamo che la novità stia nell’apertura a trecentosessanta gradi e nella condivisione. Fare attività per tutti significa superare il concetto di “elitario”; il museo deve essere aperto il più possibile a nuove esperienze. E per questo durante il 2015 abbiamo sperimentato collaborazioni con le più svariate organizzazioni culturali del territorio che hanno portato teatro sperimentale, cucina etnica, giornate per le famiglie, spettacoli di danza e performance, collaborazioni con istituti che si occupano di ragazzi diversamente abili, presentazioni di libri e molto altro. A tutti loro abbiamo indicato la strada per varcare la soglia del museo, non più luogo sconosciuto ma piazza, agorà per tutti!».
Come si galleggia oggi, tra crisi più o meno dichiarate, e l’Italia che riparte ma continua a investire molto poco nella cultura?
«Oggi per poter fare questo mestiere bisogna fare impresa e noi lo stiamo facendo. Gestiamo la struttura con una mentalità molto imprenditoriale, curiamo e produciamo, al contempo, mostre e cataloghi mentre ci occupiamo di cucina, catering, edizioni e concept-store. Il MEF infatti è una struttura privata e autonoma, non abbiamo esternalizzato nessun servizio, tutto è prodotto e gestito da noi. Inoltre il B+Ars, bistrot del museo, funziona a ritmo serrato e offre un servizio d’eccellenza a tutto il quartiere, per la pausa pranzo ma anche per eventi serali, convegni e serate private. È inoltre sede di progetti site-specific realizzati con giovani artisti contemporanei che ne cambiano, di volta in volta, l’aspetto (attualmente espone Luca Pozzi). Dal punto di vista politico devo rilevare che gli sgravi fiscali per le imprese che sono stati messi in atto dal Governo, recentemente, ci hanno consentito di riformulare i contratti di lavoro e assumere nuovo personale, fatto molto rilevante e di buon auspicio per il futuro. Purtroppo i tagli dei fondi pubblici per la cultura hanno influito pesantemente su tutta l’operatività del settore, noi dal canto nostro abbiamo appena stipulato una convenzione triennale con la Regione Piemonte, che sosterrà il MEF con un contributo, così come già fa con le altre istituzioni della nostra città. È un piccolo passo in più fatto in questo primo intenso anno di attività».
Matteo Bergamini

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