20 novembre 2015

La street photography è a Milano, con la bambinaia appassionata dello scatto: Vivian Maier. In scena da Forma Meravigli

 

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Apre oggi al pubblico la mostra Vivian Maier, una fotografa ritrovata, a cura di Anne Morin e Alessandra Mauro, realizzata in collaborazione con diChroma Photography e promossa da Forma Meravigli, in Via Meravigli 5 a Milano. 
Si tratta del caso di una bambinaia di Chicago innamorata della fotografia, nata nel 1926 a New York, i cui lavori – scattati con una Rolleiflex – vengono scoperti soltanto nel 2007 dopo l’acquisto durante un’asta da parte dello storico John Maloof, all’epoca agente immobiliare, di parte dell’archivio della Maier confiscato per un mancato pagamento. Maloof capisce subito di aver trovato qualcosa di molto interessante e da quel momento non smette di cercare materiale riguardante questo misterioso personaggio, arrivando ad archiviare oltre 150mila negativi e 3mila stampe. 
Sconosciuta in vita, riconosciuta artista post-mortem, Vivian non lascia spazio alle parole nei suoi scatti: le sue immagini parlano da sé. Comunicano da sole le inquadrature, le ombre riflesse su un viso, gli occhi lucidi dei bambini, i tanti piedi che attraversano gli spazi urbani, sia che indossino costose scarpe con il tacco, sia povere calzature usurate. Questa mostra dà modo di conoscere una fotografa autentica, dal respiro puramente americano. 
Si può inoltre affermare con certezza che la storia della street photography americana sia cambiata dopo la scoperta di Vivian Maier, maestra indiscutibile nel raccontare la vita nelle strade, nelle vie, negli angoli meno conosciuti, nei supermarket, nelle vetrine e nelle automobili. Forse è stato proprio grazie al suo lavoro “migrante” – quello della governante, fatto dal passare da una casa all’altra e dall’accompagnare i bambini a fare una passeggiata – che è riuscita a documentare così bene il mondo esterno: le vie pulsanti di vita, la Chicago degli anni ’50 e ’60 e i colori degli anni ‘70. 
La sua è una narrazione intensa, un atto di scrittura visiva, da cui emerge un’incessante necessità di ricerca. Tra le sue fotografie tornano dei temi ricorrenti, nonostante l’eterogeneità dei soggetti ritratti: le strade di New York e di Chicago, il mondo dell’infanzia, i ritratti – in cui emerge uno sguardo benevolo se rivolto a persone appartenenti alla sua stessa classe sociale e uno tagliente se volto a un mondo più agiato – e, infine, i particolari (e modernissimi!) autoritratti contraddistinti da uno sguardo severo. L’allestimento è stato pensato dalle due curatrici tramite queste assonanze visive, in un racconto affascinante. 
Oltre alle 120 fotografie anche alcuni filmati in super 8 che mostrano come Vivian Maier si avvicinasse ai suoi soggetti, come operasse e come rivolgesse il suo sguardo sul mondo. (Micol Balaban)

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