04 dicembre 2015

READING ROOM

 
La lunga storia dell’Arte Pubblica in Italia

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Di spazio pubblico si parla da almeno cinque decenni e negli ultimi due questa nozione ha trovato nuove declinazioni, una gamma di significati che raccontano in controluce la fine delle ideologie e della fede politica. Ma negli anni Sessanta e Settanta lo spazio pubblico ha rappresentato il luogo della sfida, della costruzione di identità alternative, a partire dall’esplosione del ‘68, colorandosi di valenze sperimentali, a volte addirittura ludiche, che facevano sperare in un futuro radicalmente condiviso, e non consegnato al neoliberalismo, dove l’apporto dell’artista fosse decisivo. 
Questi, grosso modo, sono i due poli storici, con profonde implicazioni sociologiche, entro cui si snoda il denso volume di Alessandra Pioselli, L’arte nello spazio urbano (Johan & Levi, 2015). Una ricerca ricchissima quanto a documentazione, che ripercorre le vicende dell’arte italiana dagli anni Sessanta ad oggi che hanno trovato nelle città, dalle periferie ai centri storici, nell’ambiente naturale, nell’articolata individuazione dei referenti delle azioni artistiche, nel cambiamento della stessa idea di “spazio pubblico”, i momenti più fertili di espressione. A leggere il libro di Pioselli, a volte si è presi da un certo sconforto, non solo per i tanti progetti intrapresi che non sono maturati, come osserva l’autrice, in una «presa nell’opinione pubblica e nel fare sistema nazionale», condannando l’insieme delle esperienze a una «marginalità» che spiega la loro mancata storicizzazione e che purtroppo connota ancora molte delle pratiche artistiche che hanno luogo in Italia. Un po’ di sconforto è dato proprio dalla massa delle informazioni di non sempre facile gestione. Come dire? Sembra un libro poco italiano. Ma questo è anche il suo merito. 
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Adottando un criterio di storicizzazione per decenni, l’analisi parte da un primo assunto fondamentale: la rinuncia nel secondo dopoguerra a pianificare in modo organico la costruzione delle città italiane, che nel frattempo si stavano popolando a ritmi sostenuti. È in questo scenario che iniziano a muoversi gli artisti, rintracciando nella città delle criticità che ne fanno un’”opera aperta” da agire. Gli inizi hanno spesso il carattere della festa, dell’happening – i primi interventi di Pistoletto, di Mattiacci fino all’esperienza di “Campo urbano” a Como nel 1969 – pratiche effimere, spesso provocatorie, dove per la prima volta è messa in questione l’idea di autorialità. Il carattere performativo di tante delle azioni ricordate e dei tanti artisti impegnati mira al coinvolgimento del pubblico, che da allora è il presupposto fondante dell’arte nella sfera pubblica. Ma l’obiettivo è raggiunto solo in parte ed è curioso notare che un decennio dopo, quando lo scontro con le istituzioni si fa più duro e la sinistra comincia a governare diverse città, le azioni improntate a uno spirito dada non vengono meno, pur spesso intrecciandosi con la lotta di classe di quegli anni. Gli stessi in cui l’artista si trasforma in “operatore culturale e politico” e in cui un curatore di spicco, Enrico Crispolti, rovescia l’equiparazione dell’arte nello spazio pubblico come momento di lotta politica, rivendicando invece un “diritto alla città”, dove l’operatore estetico sia anzitutto un “attivatore della creatività collettiva”. Il banco di prova di questo progetto è “Volterra 73”, mostra che porta la scultura nella dimensione urbana destinata a rimane un punto di riferimento di molte pratiche artistiche successive. 
Come si capisce già da queste brevi note, l’arte nello spazio pubblico disegna un paesaggio variegato e popolato da figure, bisogni, tensioni e utopie diverse (la “creatività collettiva” che in varie forme, e fino ad oggi, si è cercato di attuare), che coinvolgono altre pratiche, per esempio l’architettura, che con Riccardo Dalisi diviene partecipativa. Gli anni Ottanta segnano un arresto ed è nel decennio successivo che l’intervento artistico nello spazio pubblico riprende quota, caricandosi di valenze relazionali che portano gli artisti a confrontarsi, oltre che con lo spazio, con il vissuto di chi lo abita, fino a che esperienze come quelle di a.titolo a Torino rintracciano negli abitanti di un quartiere i nuovi (e responsabili) committenti. 
Merito del libro, che si conclude con un’analisi di come negli ultimi anni il museo abbia assunto un ruolo egemone nella ridefinizione dello spazio pubblico rientrante in una più vasta operazione di marketing urbano, sono le frequenti e intelligenti osservazioni con cui Pioselli articola il racconto dei documenti. Non, quindi, solo una densa antologia, ma anche un’accurata analisi critica di una fetta importante di un’esperienza artistica italiana ancora in corso. (A.P.)
L’ARTE NELLO SPAZIO URBANO
L’ESPERIENZA ITALIANA DAL 1968 A OGGI
Autore: Alessandra Pioselli
Editore: Joahn & Levi
Anno si pubblicazione: 2015
Pagine: 220
Prezzo: 21,00 €

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