11 gennaio 2016

Buon compleanno Parmigianino, artista maudit ante litteram. Al Museo di Capodimonte di Napoli si festeggiano cinque secoli di simboli ancora da decifrare

 

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Spiando in silenzio, nascosti in una distorsione minima del tempo e dello spazio ricavata dietro allo specchio convesso, vediamo un giovane dalla carnagione pallida che si osserva. Capelli lisci e chiari incorniciano un volto il cui ovale è chiuso dalla sottile linea del mento ancora fanciullesco, la mano destra è in primo piano, le dita affusolate sono ornate da un discreto anello d’oro che lascia intuire l’agiatezza della famiglia e il buon gusto. Sullo sfondo si stagliano alcuni elementi ma i contorni sono offuscati da un velo invernale, anche il ricco vestito si dissolve tra le ombre esitanti che sembrano aleggiare nella camera, discendendo dal solido soffitto a cassettoni. In un attimo, il ragazzo si rende conto di un nostro spostamento quasi impercettibile e intuisce di essere osservato. Non c’è dubbio, siamo stati scoperti o, magari, l’aveva sempre saputo, perché il suo sguardo è bonario, divertito. Così, alla fine, scopriamo che è lui a gestire il gioco di riflessi dello specchio, il nostro mondo è solo un angolo prospettico al di là della rappresentazione.  
Potrebbero essere trascorsi appena pochi secondi da questa epifania di reciproca consapevolezza, perché nei ventiquattro centimetri dell’Autoritratto entro uno specchio convesso, conservato al Kunsthistorisches Museum di Vienna, sono celate storie ancora da inventare. Francesco Mazzola, detto il Parmigianino, nato l’11 gennaio 1503, lo completò intorno al 1524 e lo portava nei suoi viaggi in giro per le corti italiane come un biglietto da visita, per mostrare non solo un’abilità pittorica fuori dal comune ma anche un peculiare atteggiamento della conoscenza verso il mondo percepibile, una modalità del pensiero che non aveva timore di deformare la solidità del reale. Suggestiva, anche se incerta, l’attribuzione dell’Autoritratto con berretto rosso, alla Galleria Nazionale di Parma, in cui quel giovane dal viso delicato è diventato «un uomo quasi selvatico,» nelle parole di Giorgio Vasari, «con la barba e le chiome lunghe e malconce». La tradizione, infatti, lo descrive come un individuo intimamente inquieto e dalla cultura ricercata, interessato alla musica e alla letteratura, acuto nel capire chi gli si parava di fronte, sicuro di sé al punto da rinunciare a ricche commissioni pur di seguire il suo stile, in cui il rigore formale del Quattrocento riesce a ibridarsi con una pura astrazione, mentre il particolare decorativo diventa narrazione autonoma. Morì ancora giovane, il 5 agosto 1540, probabilmente a causa della malaria. 
Per celebrare il 513esimo compleanno dell’artista, il Museo di Capodimonte ha indetto una giornata di approfondimenti e visite guidate, alla scoperta delle opere conservate nella prestigiosissima Collezione Farnese. L’occasione è propizia per lasciarsi intrigare da questo universo di simboli nascosti, ancora da decifrare, dall’enigmatico sguardo di Antea, con il suo sfarzoso vestito alla francese, al corredo di medaglie, anelli e armature ostentato da Galeazzo Sanvitale, passando per il sacrificio di Lucrezia che, reiterando un rituale antico di millenni, come sul palco di un oscuro teatro, affonda il pugnale nel proprio petto violato da Sesto Tarquinio, ultimo figlio dell’ultimo re di Roma. (Mario Francesco Simeone)
In home page: Parmigianino, Autoritratto entro uno specchio convesso, Vienna.
Sopra: Parmigianino, Ritratto di Galeazzo Sanvitale, Napoli

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