15 gennaio 2016

Esce Sudario Numero Uno, la zine che racconta il Sud Italia, realizzata da The View From Lucania. Abbiamo incontrato il suo ideatore Stefano Tripodi

 

di

Poco più di un anno fa vi avevamo parlato del numero zero di Sudario, la zine prodotta da The View From Lucania, creatura di Stefano Tripodi, che nasce con l’intento di promuovere tutto il bello che viene dal Sud Italia, e lo fa attraverso workshop, libri, mostre e laboratori. 
È uscito qualche giorno fa Sudario numero uno, che persegue sempre lo stesso scopo, raccontare il Sud da molteplici punti di vista. (in questo numero quelli di Cyop & Kaf, Nathan Barnes, Georges Salameh, Tommaso Bonaventura, Alessandro Imbriaco, Fabio Severo, Fabrizio Vatieri, Maria Vittoria Trovato). Abbiamo incontrato Stefano Tripodi che ci ha raccontato la genesi, il presente e il futuro della sua avventura.
Come e quando è nata l’idea di Sudario?

«Diversi anni fa io e il regista Andrea Fasciani ci incontrammo in Basilicata per una delle solite escursioni. Venne a trovarci il fotografo Filippo Romano che aveva realizzato un bel lavoro sulla Statale 106. Decidemmo in quella occasione di creare un contenitore visuale fatto di immagini fotografiche e spezzoni video con l’idea di raccontare il Sud Italia. Furono realizzati 3 Sudario che girarono per alcuni festival in Italia e all’estero. Successivamente ho deciso che volevo cimentarmi con un prodotto cartaceo, dare vita a un feticcio. L’incontro con Sara Bianchi e Andrea Zambardi di ATTO ha trasformato in realtà questo desiderio. Loro curano la grafica e la stampa in risograph del progetto. Al momento Sudario è una fanzine ma il mio grande obiettivo è di farne un magazine a cadenza semestrale. Un atlante visuale che restituisca l’essenza profonda del sud.
Alla base dell’idea di Sudario c’è il grande bisogno di osservare il Sud Italia utilizzando l’immagine come strumento. Il testo scritto da Andrea Fasciani, che nel numero uno appena uscito è pubblicato in copertina e sul retro e che sarà presente sempre in ogni numero, spiega precisamente qual’è la nostra idea di Sud e lascia facilmente intendere i motivi che ci spingono ad indagarlo».
Da anni lavori sulla scena indipendente diffondendo la cultura che viene dal sud, ma puntando anche molto sulla formazione. Perché questa scelta? 
«Non sono stato un bravo studente, ma non ho avuto neanche buoni maestri. Ho frequentato le migliori accademie in Italia per la formazione di fotografi e come quando andavo a scuola ho riscontrato uno scollamento, una distanza siderale tra studenti e docenti. I fotografi poi sono spesso molto egocentrici e quel clima da circoletto culturale della domenica è insopportabile. Ho unito così due necessità: tenere un piede nel mio sud per non perderlo definitivamente (mi sono trasferito a nord dell’Italia nel 1999 all’età di 19 anni) e recuperare in una formula nuova gli insegnamenti di quelli che presi singolarmente sono dei meravigliosi professionisti, artisti, visionari. Ne ho contattati un po’ e li ho portati a casa mia in Basilicata chiedendo loro di tracciare degli scenari che sposassero il territorio. Dal 2010 ad oggi siamo riusciti a fare un po’ di cose belle, non è stato facile e non sempre si è raggiunto l’obiettivo. Dopo mille ricerche e tentativi ho eletto casa mia come centro nevralgico intorno al quale far ruotare gli insegnamenti. Gli studenti hanno vissuto sempre insieme al docente, in un clima informale e casalingo, ed i workshop sono diventati un grande momento corale che iniziava al mattino appena svegli e finiva con la fila per il bagno prima di andare a letto. Chiaramente si passavano molte ore sul campo. Successivamente il lavoro mi ha tenuto sempre di più incollato alla città in cui vivo, Milano, e ho dovuto riprendere la formula di insegnamento ideata per la Lucania e tradurla in qualcosa di appetibile per la città. Così nel 2014 abbiamo realizzato le “Lezioni nell’appartamento”, un piccolo ciclo di workshop tenuti negli appartamenti di alcuni cari amici nel quartiere Isola a Milano. Siamo riusciti a realizzarne la metà. In ultimo questo luglio un workshop con il fotografo Nathan Barnes in Svizzera tenuto in un piccolo complesso di baite di montagna a duemila metri d’altezza. Gli studenti ed il docente hanno impiegato tre ore per raggiungere a piedi le baite ed una volta arrivati in cima hanno vissuto cinque giorni senza elettricità, avevano a disposizione solo acqua di fonte. Questo è il genere di cose che mi piace fare, stimola davvero l’apprendimento e comunica l’idea che la produzione di immagini spesso è per il fotografo il confronto costante con situazioni di sopravvivenza. In un mondo comodo solo l’estremo riconduce ad una visione equilibrata».
Come vedi il futuro dell’editoria indipendente e del self publishing? 
«Ho guardato all’editoria indipendente e al self publishing con grande emozione quando il fenomeno è esploso anni fa. Mi sembrava ci trovassimo tutti in una situazione senza via d’uscita ed io ne avevo le scatole piene dei soliti blasoni e dei vecchi conservatori. Sono orgoglioso di aver preso parte con TVFL alla mostra Atlante.it nell’ex Mir Mar di San Mauro a Pascoli, durante la 23esima edizione del Si Fest a Savignano sul Rubicone. Per la prima volta in Italia si è provato a mappare le principali esperienze collettive italiane che ragionano del mondo attraverso la fotografia. È stata in quella occasione che presentammo Sudario, mostrando il numero zero. Il mio progetto è nato veramente dal basso come molti, tenuto in piedi solo dalla tenacia e dalla voglia di dire delle cose. Io credo che il self publishing rappresenti una finestra inesauribile di possibilità  e di libertà, l’importante è cercare sempre di fare cose nuove evitando di imitare solamente un’estetica. Ora che il fenomeno è diventato importante, è entrato nei programmi delle scuole di fotografia e diversi editori indipendenti e fotografi stanno insegnando l’autoproduzione di un progetto fotografico, la cosa è per me molto stimolante, se fatto bene è come insegnare ad essere creativamente liberi e indipendenti. Il libro è prezioso quanto la storia che racconta, è un mezzo di assoluta importanza soprattutto per il fotografo. Il futuro che vedo è un sereno approdo, un posto confortevole dove stare e dove non si smette mai di sperimentare, dove nascono avanguardie e i vecchi progetti vivono di nuovo. Ma il futuro dell’editoria indipendente e del self publishing è anche legato a questioni economiche e non è sempre facile per chi si auto produce trovare le risorse per andare avanti, spesso le sole vendite non bastano a ripagare il lavoro fatto o finanziarne uno nuovo. Sarebbe estremamente interessante se ci fosse un interessamento da parte dei poteri forti che si occupano di cultura in Italia».
Quali sono i progetti a breve e lungo termine per TVFL?
«Abbiamo diverse cose in cantiere alle quali stiamo lavorando. Intanto Sudario, il cui numero due è già in definizione, poi un progetto a cui tengo molto e che proverò a portare nelle gallerie d’arte. Si tratta di una cosa molto delicata che sto gestendo con grande attenzione, ma ti assicuro che è una rara perla nera di questo Sud Italia. Poi un paio di altre cose ancora e forse qualcosa di nuovo legato all’insegnamento. Ma preferisco non parlarne se non ti dispiace, sono abbastanza scaramantico». (Roberta Pucci)

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui