18 gennaio 2016

VISIONI E PROSPETTIVE

 
di Benedetta Carpi de' Resmini L’Italia vista dalla Germania: parla Joachim Blüher, Direttore dell’Accademia tedesca di Villa Massimo. Le differenze?
I finanziamenti per la cultura, per esempio

di

Le interviste di questa rubrica sono pensate per aprire un dialogo con persone del mondo della cultura che, attraverso una riflessione condivisa, cercano di dare nuove prospettive e immaginare nuovi scenari possibili. Joachim Blüher, con la sua esperienza pluridecennale come Direttore di una tra le più influenti accademie straniere in Italia, l’Accademia tedesca di Villa Massimo, dà una sua personale visione del nostro Paese e sulle fondamentali relazioni tra luogo, identità e cultura.
Lei ha trasformato l’Accademia Tedesca, rendendola un polo importante nella cultura contemporanea. Con iniziative come “Electric Campfire”, ha promosso uno dei momenti più alti a livello di sperimentazione di musica elettronica. Da dove nasce questa idea? Il pubblico romano o italiano nel 2007, ormai quasi 10 anni fa, era pronto a proposte di questo tipo?
«Il pubblico è sempre pronto quando l’iniziativa è buona: qui in Accademia le cose sono sempre originali, non sono mai di seconda mano. “Electric Campfire” è nato da un rapporto con Carsten Nicolai, all’inizio questo rapporto non fu del tutto felice, adesso siamo riusciti a costruire una solida amicizia. Quando due persone desiderano fortemente il meglio lo si raggiunge. All’inizio partecipavano circa 150 persone, poi è cresciuta con il passaparola e la stampa: dal niente a 2000 persone che si registrano nei primi venti minuti dall’apertura ufficiale delle sottoscrizioni. Anch’io non sapevo cosa fosse la musica elettronica; il primo anno ricordo che il concerto doveva iniziare alle 20.00 ed erano le 21.00, chiamai la persona responsabile dell’organizzazione per chiedere quando iniziasse il concerto e mi disse che era iniziato già da un’ora. Non mi ero accorto di niente, non immaginavo che quei rumori fossero già il concerto. Devo dire che noi siamo cresciuti insieme ai romani».
Alva Noto durante l'ultima edizione di Electric Campfire, settembre 2015
Qual è la sua ricetta per mantenere all’avanguardia l’Accademia di Villa Massimo? 
«Avere sempre idee nuove e proposte semplici. La terza condizione fondamentale è lasciare sempre il pubblico un po’ insoddisfatto: proporre progetti di qualità ma che si esauriscano nella serata, lasciando sempre qualcosa per l’appuntamento successivo. Come i cinesi bisogna lasciare sempre del riso sul piatto!» 
Come far dialogare due universi culturali, italiano e tedesco, mantenendo una forte identità? 
«Non siamo due universi culturali diversi, siamo totalmente opposti. È proprio questo l’aspetto interessante e divertente. Vivendo in un Paese in cui tutto è l’opposto del proprio rende la questione anche più stimolante. Questa è la nostra ricchezza! La diversità è il nostro vero patrimonio, siamo ricchissimi se lasciamo l’altro com’è, senza cercare di cambiarlo a nostra immagine e somiglianza. Io punto sulla nazionalità nel senso della cultura, non certo dei confini, ci si deve sempre aprire al patrimonio culturale dell’altro. Questa è la proposta di Villa Massimo, non si vuole mai impartire una lezione agli italiani. L’Accademia è una vetrina della Germania in una bellissima città come Roma, ognuno è libero di fermarsi e approfondire, altrimenti passa senza guardare. E poi tutto il mondo ha bisogno dell’Italia, non a caso a Roma ci sono circa 18 Accademie, anche se ultimamente la città non è più percepita così». 
Quindi, voi lanciate la scintilla e poi sta agli altri riuscire a creare un bel falò.    
«Esatto! Rosemary Trockel, prima di venire qui in Italia era pressoché sconosciuta, poi ha realizzato una mostra al MAXXI». 
Fotografia 2: Erich Salomon – Friedrich Seidenstücker
Ormai sembra che Roma e l’Italia stiano perdendo il loro smalto e l’Accademia tedesca è sempre più percepita come un’oasi felice rispetto al panorama locale oltre che nazionale. 
«Un’isola felice, forse, ma non so quanto, perché in Accademia è come se ci trovassimo in Germania, e ormai nel nostro Paese c’è crisi come nel resto dell’Europa. È da 15 anni che la Germania ha raccolto le proprie forze facendo tagli ovunque e una riforma profonda del mercato del lavoro. A ragion del vero, bisogna dire che nell’istruzione e nella cultura il nostro Paese ha continuato ad investire. Il Ministero della Cultura tedesco riceve annualmente degli aumenti. Per il 2016 sono previsti 115 milioni in più su un budget totale che arriverà a quasi 1,5 miliardi. Inoltre, la commissione per il bilancio del Bundestag, il parlamento tedesco, si è impegnato a garantire questo stesso aumento per i prossimi cinque anni. Wolfgang Schäuble, ministro delle finanze, da voi così odiato, tempo fa disse una frase molto chiara: “noi siamo un Paese ricco, abbiamo bisogno dell’arte e dobbiamo dare i soldi da investire nell’arte”. In Italia quello che mi fa rabbia è che è un Paese che potrebbe vivere esclusivamente del proprio patrimonio artistico, ma al contrario non combatte per la cultura, anzi si fanno sempre meno investimenti. Se la cultura funzionasse e si facessero delle proposte valide, si potrebbero aumentare i proventi. Purtroppo in Italia sembra che il bilancio delle istituzioni pubbliche sia sempre negativo ad esclusione forse del Colosseo. Non si difende la creatività e la creazione artistica, è questo il vero problema in Italia, credendo anche nella cultura contemporanea e difendendola tutto il Paese sarebbe molto più ricco. Vorrei raccontare un episodio che è legato all’ultimo assessore alla cultura del Comune di Roma: uno dei nostri borsisti trovò un’opera d’arte di Robert Smithson del 1969, presso la Laurentina, uno degli esempi più importanti di Land Art. La responsabile dei borsisti e il borsista andarono lì con la spatola cercando di riportare alla luce l’opera che era stata coperta in questi 50 anni. In seguito al ritrovamento decisi di scrivere all’assessore, data l’importanza dell’opera e del ruolo di questa città: non ho ricevuto nessuna risposta per mesi. Dopo aver sollecitato nuovamente ricevetti una lettera che riportava la seguente frase: “Abbiamo registrato la vostra lettera, le risponderemo quanto prima”. Da allora nessuna risposta….Però la colpa non è solo dei politici, anche la stampa dovrebbe insistere di più. Dovrebbero uscire quotidianamente articoli che manifestino indignazione verso questo stato di cose. Per questa ragione l’Italia perde lo smalto, non si può attaccare qualcosa su una base che non esiste, bisognerebbe trasformare l’intero sistema».

Soltanto un quadro al massimo – la pubblicazione, le edizioni

Negli ultimi ci sono state delle importanti trasformazioni sopratutto a livello governativo. Dario Franceschini recentemente ha dichiarato con l’entrata in vigore del decreto sull’Art Bonus (agevolazione fiscale del 65%) sono stati incassati 34 milioni di euro da 790 mecenati diversi. Enti, che assicurano 272 interventi sul patrimonio artistico. Pensa che si sia avviato un trend positivo, nella gestione del sistema culturale? 
««Questa sua domanda mi fa sbadigliare, sta parlando del solito contentino!! 34 milioni di euro non sono niente! Come le dicevo prima, in Germania, grazie alla tasse pagate, si aumentano annualmente intorno ai 100 milioni di euro, per la cultura e questi provengono dallo Stato. Ritengo che Dario Franceschini prima di spendersi per trovare fondi privati che intervengano sul patrimonio pubblico, dovrebbe cercare di ottenerli dallo stesso governo che lo ha nominato. Vorrei farle notare che Diego della Valle ha finanziato il restauro per il Colosseo, Diesel ha finanziato il Ponte di Rialto e Fendi ha finanziato la Fontana di Trevi e il Colosseo Quadrato: sono monumenti di rilievo che in realtà creano un effetto di pubblicità indotta allo sponsor. Certamente non interessa il restauro della Chiesa di San Nicola da Tolentino a Roma, che è la chiesa “nazionale” dei marchigiani nella capitale: tempo fa scrissi direttamente a Diego della Valle per portare alla sua attenzione il progressivo decadimento di questo monumento, il risultato è stato nullo. Quello che fanno gli sponsor fa parte dei loro obiettivi d’impresa. Invece lo Stato deve occuparsi di tutto e gli investimenti da parte del settore privato non dovrebbero esser più di un sostegno. Non si tratta di capire se la Germania sia più ricca dell’Italia, bensì di schierarsi seriamente e politicamente per la cultura e l’arte contemporanea».
Open Studios dei borsisti 2013
Che ne pensa della sempre discussa incidenza del privato nel pubblico? Tra l’altro lei ha avuto la sua galleria prima di venire in Italia, le è mai stato chiesto in quel periodo di intervenire in una gestione pubblica?
«Ritengo che le “public private partnership” purtroppo non hanno mai funzionato. Lo Stato deve essere Stato, ci possono essere contributi privati, ma è il governo che deve investire, non ci possono essere commistioni. Ad esempio il fondatore dell’Accademia, ha regalato questo luogo all’imperatore e così al popolo tedesco. Lo Stato non può lasciare le proprie strutture aperte ai privati, è assolutamente impensabile. Io da parte mia non sono mai intervenuto in questioni pubbliche, non l’ho mai desiderato. Lo Stato deve essere forte, proporre delle cose di qualità ai soci e i soci siamo noi cittadini tutti che contribuiamo quotidianamente affinché questo avvenga».
Vorrei comunque spezzare una lancia a favore di Dario Franceschini. Mi riferisco alle recenti nomine per i venti direttori dei più importanti musei italiani. Questi musei hanno acquisito un’autonomia gestionale, con un consiglio di amministrazione. Ritengo questo un grande passo avanti. Tra l’altro sette dei nuovi direttori sono stranieri e tre di questi sono tedeschi Eike Schmidt, Direttore Gallerie degli Uffizi, Firenze, Cecilie Hollberg alla Galleria dell’Accademia di Firenze, Gabriel Zuchtriegel al Parco archeologico di Paestum. 
«Mi sembra normalissimo e dovrebbe avvenire sempre così. Che si sia parlato per giorni e giorni di queste nomine, mi sembra un atteggiamento molto provinciale. Comunque sono felice che si sia arrivati finalmente ad una gestione autonoma, con una nomina avvenuta per concorso e che abbia premiato dei direttori che sono stati individuati per i loro meriti. Ma si dovrebbe andare avanti. Ieri abbiamo fatto 2 giorni di coaching per noi dell’Accademia, tirando le somme e cercando di capire su dove poter agire per migliorare…»
La grande notte di Villa Massimo al Martin-Gropius-Bau 2014
Si parla sempre di esterofilia di noi italiani, ma i sistemi di gestione stranieri sono sempre stati ammirati da lontano senza entrare realmente nella logica di adottarli in Italia, perché a suo avviso è difficile arrivare ad un sistema snello di gestione culturale? 
«Tutti noi potremmo imitare gli altri, ma in realtà dovremmo modificare profondamente noi stessi e questo non si può e non si deve fare! Si dovrebbe al contrario effettuare un’analisi profonda delle proprie caratteristiche e vedere cosa riuscire a modificare. La Germania o qualsiasi altro Paese non può dare lezioni, ne prendere lezioni da un altro….Gli italiani si muovono in maniera completamente diversa da noi, si muovono per un consenso sociale. Ritengo che voi date maggiore importanza all’armonia, all’andare d’accordo, rispetto a noi Paesi nordici che abbiamo comunque un’etica protestante. Non credo si possa applicare una ricetta per una cultura diversa, le differenze si devono mantenere. La vera forza di un Paese come l’Italia è riuscire a far emergere le eccellenze, individuare un elemento di spicco e cercare di portarlo avanti. Basterebbe pensare alla Corte di un principe Rinascimentale, che sollecitava la speculazione intellettuale. È questo che dovrebbe emergere nel vostro Paese. Poco tempo fa sui giornali leggevo una statistica sulle migliori città italiane: meglio Milano o la Capitale, Roma? Inizialmente ho ritenuto questo sondaggio superfluo, ma riflettendoci ritengo che possa motivare una concorrenza positiva, creare un “quadro” all’interno di Roma o di Milano e poi si vede qual è il migliore. Credo che la ricetta per un sistema diverso sia instillare nella vostra coscienza un po’ di sano campanilismo. Questo dovrebbe aprire ad una cultura diversa. Qui persiste un’idea di nazione un po’ distorta: nessuno vi può insegnare niente, nemmeno una ricetta, perché voi sapete farla meglio, salvo però rivolgersi all’estero come un esempio da guardare, ma non da imitare. In Germania sappiamo riconoscere la qualità: se notiamo qualcosa che è migliore rispetto a come la realizziamo noi, cerchiamo di copiarla. Nell’Ottocento abbiamo copiato tutta l’industria del tessuto dagli inglesi. Il “Made in Germany”  è nato in Inghilterra per allertare gli acquirenti sulla scarsa qualità dei prodotti tedeschi. In seguito abbiamo compreso come ribaltare questo segno di inaffidabilità come un marchio di cui andare orgogliosi, cercando di raggiungere l’eccellenza nei prodotti industriali e non solo. Abbiamo compreso che l’importante non è da chi proviene l’idea, ma la validità dell’idea stessa e come elaborarla e portarla avanti nel migliore dei modi possibili».
Parlando di creatività, ci sono stati degli artisti o personaggi del nostro panorama culturale che hanno influenzato maggiormente le sue scelte?
«Se devo pensare a qualcuno è sicuramente Domenico Bianchi. Ci siamo capiti immediatamente, ma non so spiegare bene perché… penso possa definirsi un’affinità elettiva».
Benedetta Carpi de’ Resmini

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