21 gennaio 2016

CURATORIAL PRACTISES

 
Le donne sono l’essenza più rappresentativa e brillante dell’arte. Parola di David Gryn
di Camilla Boemio

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David Gryn è il direttore e fondatore di Artprojx. Nel corso degli ultimi 10 anni Artprojx si è affermato come un centro leader anche per promuovere progetti con immagini in movimento, lavorando con le più importanti gallerie internazionali d’arte contemporanea, le fiere d’arte, gli istituti e gli artisti. Tra le collaborazioni prestigiose: Art Basel Miami Beach, Lisson Gallery, Salon 94, Whitney Museum, Tate Britain, ICA, Frieze Art Fair e con gli artisti, tra gli altri: Christian Marclay, Dara Friedman, Santiago Sierra, Mark Wallinger, Christian Jankowski, Tracey Emin, Dexter Dalwood, Jeremy Deller, Wilhelm Sasnal, Grace Ndiritu.
La sua selezione di film per l’ultima Art Basel Miami Beach, annoverata come la migliore edizione, ha incluso più di cinquanta lavori di alcuni dei più interessanti artisti provenienti dall’America Latina, gli Stati Uniti, l’Europa, l’Asia. Come ha risposto l’audience di Art Basel Miami Beach, con la sua enorme presenza internazionale, rispetto al pubblico di una canonica mostra in un museo?
«La fiera è diventata il maggiore luogo per l’arte nel quale presentare anche delle sezioni come quella dedicata al cinema, con un riscontro immediato nel quale le persone vogliono essere coinvolte e poter avere un’offerta delle migliori opere. Siamo diventati fruitori e frequentatori assidui delle fiere d’arte perché oggi è diventato l’indispensabile evento dell’anno. Ogni città vuole avere una fiera d’arte riconosciuta, ben posizionata nelle graduatorie internazionali, e attraente per le gallerie, gli artisti, i curatori di musei e i collezionisti, creando un immancabile circolo nel quale esserci vuol dire comprare e farsi vedere. Chi è affascinato dall’arte ed è dentro il sistema si sottopone in continuazione a spostamenti strategici per seguire una fitta programmazione di eventi in giro per il mondo ed essere parte integrante del meccanismo: da Art Basel Miami Beach ad Art Basel, da Fiac, a Frieze, da Armony fino ad arrivare al calendario in Asia, con Singapore e New Delhi in Gennaio, seguite da Art Basel Hong Kong e Art Dubai a Marzo; solo per nominare le più prestigiose fiere alle quali fanno eco presentazioni, feste, dibattiti ed attività varie che impongono l’attenzione mediatica. Le fiere sono in assoluto il parco giochi dei collezionisti; e la competizione tra gallerie è assolutamente serrata».
Film – Art Basel Miami Beach
Che rapporto vede tra fiera e museo?
«La fiera spesso colma una mancanza latente di instradare un audience importante da parte del museo. Sopratutto da parte dei musei cittadini, che spesso sono i primi ad avere bisogno di un volano ulteriore: in alcuni periodi dell’anno, per rilanciarsi con un pubblico più mirato. La fiera è un luogo ideale dove innescare nuove dinamiche per i direttori di museo e per i curatori, abili nel creare nuove prospettive. C’é anche il luogo comune di considerare l’arte in una fiera, come il modo migliore e più decretato di rappresentare il nostro tempo e gli altri periodi. L’arte in fiera è necessaria, e si vende meglio. Sarebbe auspicabile avere un museo che avesse un ruolo di primo piano, garantendo la leadership del gusto e aumentando il proprio potere fino a diventare un vero e proprio garante per l’arte. Un museo deve proporre delle scelte non facili, nuove e fondamentali per il tuo bagaglio culturale. Da una fiera mi aspetto indubbiamente un ruolo basilare, ma anche molto alla moda e strettamente legato alla cooperazione con le gallerie».
Berna Reale, Cantando na Chuva _ courtesy of Nara Roesler
Cosa sta accadendo a Londra nell’ambiente dell’arte? La città sta ulteriormente cambiando? 
«Siamo in una fase di trasformazione dell’arte; nella quale anche come ci stiamo approcciando ad essa modifica profondamente la percezione. Londra risente di tutto questo ed è essa stessa l’artefice di un meccanismo più ampio nel quale mostra una consapevole presenza. Non è esente da quel grande flusso nel quale primeggiano le gallerie, con una prestigiosa programmazione. Nello stesso tempo, aumentano i progetti indipendenti che mostrano uno spaccato unico e poliedrico dell’arte». 
Come possono strutturare le pratiche curatoriali nuovi scenari per il cinema? Come queste ultime sono cambiate nel corso degli ultimi anni?
«Vedo il cinema dal mio punto di vista personale. Per Art Basel Miami Beach ho pensato di strutturare una piattaforma semplice per mostrare le immagini degli artisti al Sound Scape Park davanti al New World Center realizzato da Frank Gehry. Cerco di rendere una forma d’arte più complicata molto più facile per lo spettacolo. Ad esempio, utilizzando un luogo naturale come proiezione e dialogando con l’architettura di una piazza di una città, o ricreando una piattaforma che possa sostituirsi alla proiezione standard nelle gallerie d’arte. Trovo sia estremamente affascinante trovare un’ospitalità per l’immagini in movimento che sia visibile e fruibile in modo pubblico». 
Come definisce la sua pratica curatoriale? 
«In realtà vedo il mio ruolo come un facilitatore, in grado di creare delle situazioni che sarebbero altrimenti difficili; non mi vedo come un curatore intellettuale. La mia regola è cercare di rendere possibili dei progetti complessi, e quasi impossibili da realizzare. Quando ho iniziato sei anni fa a curare la sezione di Art Basel; ho immaginato come rendere facile mostrare ciò che è più complesso esporre, fuori dal canonico all’allestimento in galleria, aggiungendo, nella passata edizione di Dicembre, un attenzione nei confronti del suono nell’arte». 
Breda Beban Let’s call it love_ courtesy of artist, and Kalfayan
Quali sono gli artisti più talentuosi degli ultimi anni e come sono i suoi rapporti, da curatore, con gli artisti?
«È molto difficile stilare una vera classifica! La pellicola ed il suono sono per me l’attenzione primaria con un’associazione nella scelta dei lavori ai generi diversi; ma procedo nel raccontarvi quali siano i miei rapporti. Nei vari progetti curati, continuo a imbattermi con artisti diversi. Spesso mi piace introdurre un nuovo artista, ed è sempre una scoperta. Sono le tematiche, e gli sviluppi del linguaggio e la loro comprensione dell’umano, e la bellezza delle relazioni che mi rendono estremamente gratificato. Mi interessano i rapporti di amicizia e di stima a lungo termine che si possono creare. La qualità di un opera, a volte, non si associa con un buon carattere o a un approccio collaborativo; questa è per me una reale mancanza. Il rapporto di reciprocità è molto importante, significa sapere quanto si capisce l’un dell’altro ed abbassare il muro di diffidenza per optare in una comunione di intenti. Praticamente prendere il telefono o l’e-mail di qualcuno ed iniziare un rapporto. Alcuni artisti hanno cominciato ad essere molto difficili, ed è diventato sempre più penalizzante lavorarci per consegnare un grande lavoro per un progetto. Mi piacerebbe lavorare con persone che hanno un grande ego, ma che siano molto preparate e rispettose. Sono in una fase di esperienza lavorativa nella quale, come persona di mezza età, ricordo ed apprezzo gli anni Ottanta nei quali si operava vicino alla gente, le fasi degli anni Settanta e Sessanta nelle quali gli artisti dell’epoca erano dei giovani che provenivano dal basso e che erano impegnati nei collettivi composti almeno da una ventina di persone. Oggi, a volte, manca da parte dei giovani quel vero entusiasmo e quella spinta ad un impegno sociale. Il mondo dell’arte è un congegno complesso nel quale ogni tassello ha bisogno di un’altra parte del meccanismo: il gallerista è diverso dall’artista ed a sua volta i collezionisti e le istituzioni lo sono dai curatori. È un ecosistema molto collaborativo, dove ognuno ha un ruolo diverso speculare all’altro. Direi che un artista che reputo interessante, che era nel programma di Art Basel Cinema, è Jumana Manna. Un’altra mia artista preferita è Catherine Sullivan, senza dimenticare Regina Silveira, Tracey Emin, Milena Bonilla, Mary Reid Kelley. Anche se fondamentalmente la mia artista preferita è Jane Bustin: mia moglie. Spesso mi chiede ancora perché l’ho sposata ed io vedo in lei un talento che mi sorprende, un carisma ed una qualità sublime nella sua ricerca. Come vede vertono tutte sulle donne le mie scelte; come sono state tutte donne le artiste della selezione di Art Basel Cinema. Perché le donne sono l’essenza più rappresentativa e brillante dell’arte». 
Camilla Boemio

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