05 febbraio 2016

Nel nome del rispetto o della cronaca?

 
La storia del giovane ricercatore Giulio Regeni, probabilmente assassinato al Cairo (secondo l'esame autoptico) è una di quelle che non si vorrebbero mai sentire. Ma oggi, come spesso accade in queste circostanze, si innescano anche altre "problematiche"

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Di fronte alla morte bisognerebbe tacere, specialmente se è violenta e se coinvolge un giovane intellettuale italiano. Parliamo di Giulio Regeni, il 28enne friulano rinvenuto fuori da Il Cairo, colpito da un corpo contundente al cranio (secondo l’autopsia) e con numerose lesioni su tutto il corpo. La pista del delitto sembra inevitabile, anche se la polizia locale ha parlato di incidente.
Ma non è tanto questo che in questa sede vogliamo discutere, quanto di un problema che riguarda il giornalismo, e l’informazione tutta.
Il Manifesto ha annunciato che oggi, anche contro la volontà della famiglia del ragazzo, pubblicherà l’ultimo articolo di Regeni arrivato in redazione. In mezzo c’è una diffida, ma il quotidiano ha annunciato che andrà dritto per la sua strada, visto che il ragazzo collaborava con la testata ma usava uno pseudonimo perché temeva per la sua incolumità.
Nella diffida si fa presente anche questo: oltre a violare la volontà della famiglia, il pezzo potrebbe pregiudicare la sicurezza dei suoi genitori tuttora presenti al Cairo e dell’altro studente, compagno di Giulio.
“Prendiamo atto della diffida dei legali della famiglia Regeni, che giudichiamo incredibile, non veritiera e purtroppo superata dai fatti, ma non possiamo tacere anche per rispetto della volontà dello stesso Regeni”, hanno spiegato dalla redazione. Le conclusioni, stavolta, vanno riflettute e calibrate, e hanno a che fare con il dovere di cronaca, con il sensazionalismo che un caso del genere sta suscitando. E con una “consegna del silenzio” per una vicenda internazionale e dai risvolti ancora troppo fumosi. E di certo, posticipando l’uscita dell’articolo, il Manifesto non perderebbe nessuna esclusivo. Ma si sa, la carta stampata non perdona. Come la cultura. (MB)

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