07 febbraio 2016

Chi mangia con l’arte in Italia? Le società che gestiscono i musei. E ora se ne accorge anche la stampa nazionale

 

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A portare l’attenzione alla ribalta nazionale, su un fenomeno che gli addetti ai lavori conoscono bene, stavolta è Repubblica, che con una sua lunga inchiesta svela un poco i retroscena dei veri indotti che arrivano ai musei statali. 
E che in larga parte non finiscono allo Stato, aumentando incassi e dunque ridistribuzione di ricchezze, come ha più volte rimarcato Franceschini – anche con la politica dell’Art Bonus – ma alle aziende private che ne gestiscono i servizi. Civita Cultura, Electa, CoopCulture, Zètema: il quotidiano snocciola nomi e dati dei “signori” della cultura pubblica italiana, resa privata nei profitti, che nella prossima primavera dovrebbero vedersi affiancati da nuovi competitor per nuovi, e differenziati, servizi.
Almeno stando alle promesse del Mibact, che legifera e che – come ricorda l’editore Mario Curìa, riportato dalle giornaliste Di Cori e Gussoni, «Controlla tutto però è debole, quindi alla fine non controlla niente. Per aprire un mercato che nonostante le buone premesse delle legge Ronchey è rimasto chiuso, ci vogliono le giuste competenze, culturali, manageriali e di sensibilità. Non solo leggi».
E via con una serie di dati: son 111 milioni gli incassi in oltre 400 musei e siti statali nel 2014, ed è la cifra al netto dell’aggio concesso ai privati. 49 milioni sono arrivati, sempre nel 2014, dai servizi aggiuntivi (audioguide, bookshop, gadget, caffetterie, prenotazioni e prevendite, ristoranti e visite guidate), ma solo 7 milioni sono finiti nelle casse statali.
Quanto fa il solo Louvre? 216 milioni. Ma si sa, cifre e “funzioni” non sono rapportabili con offerte e metri quadrati di altri Paesi (e questioni come queste aiutano proprio a capire il perché), ma quel che è vero – e su cui si punta anche il dito – sono anche i prezzi non in linea europea di alcuni grandi patrimoni italiani, o alcune situazioni poco piacevoli, che svelano non solo altarini, ma fanno piuttosto male al libero mercato: per esempio al Colosseo pare non vi siano mai posti per visite guidate “private”, ma se ci si appoggia alla società di gestione, CoopCulture, in men che non si dica si entra al sito; oppure i prezzi gonfiati, da una parte all’altra, che permettono un “saltacoda”, mentre tutti gli altri stanno a guardare, per non aver sborsato dozzine di euro in più sul prezzo del biglietto. Insomma, la buona gestione sembra ancora decisamente lontana anni luce. O avrà solo un bel tempo di attesa, per dirla in altre parole. 

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