29 febbraio 2016

ALLONS ENFANT/18

 
Giovani artisti italiani. Stavolta sono i gemelli Carlo e Fabio Ingrassia che rispondono alle domande di Andrea Bruciati. E pongono la loro

di

Il Poeta è paradossalmente meno necessario alla poesia del lettore, così come lo scultore è meno indispensabile alla statua dello spettatore.
La statua nasce da un certo sguardo, il poema da un certo silenzio.
Il ricordo del passato e la previsione dell’avvenire si fondano su abitudini.
Giorgio De Chirico, Commedia dell’arte moderna, Abscondita, Milano 2002.

Un ritmo che continua immutato è un presente che ha una durata; questo presente che dura è fatto di molteplici istanti che, da un punto di vista particolare, assicurano una perfetta monotonia. La monotonia e alla base dei sentimenti durevoli che determinano l’individualità di un animo particolare. Un sentimento che dura acquisisce un significato metafisico. Un animo che sperimenta veramente la solidarietà, degli istanti ripetuti con regolarità. Un ritmo uniforme di istanti è una forma a priori della simpatia.
La contraddizione è, per l’inconscio, non una semplice tolleranza ma un vero e proprio bisogno.
Due filosofi e mezzo probabilmente non faranno mai un intero metafisico.
Gaston Bachelard, L’intuizione dell’istante. La psicoanalisi del fuoco, Dedalo, Bari 1973.
Illustratemi come si applica questa doppia dimensione temporale.
«Non abbiamo una vera e propria nostra modalità temporale rispetto al lavoro, non ci prefiggiamo un calendario di chiusura, si parte sempre. Nel momento in cui noi osserviamo una cosa creiamo una percezione del tempo per quella determinata situazione. L’osservazione si costituisce come presenza temporale corporea: il tempo del quadro è la formazione della sua architettura. Se l’artista riuscisse a dare l’impressione di un gesto eseguito in più istanti, di sicuro la sua opera sarebbe molto meno convenzionale di una immagine scientifica, dove il tempo sembra essere invece sospeso. Se si osserva la realtà, il tempo è un continuo fluire mentre l’artista deve condensare più movimenti ripartiti in un sola immagine: l’illusione a cui si assiste è quella del movimento, con la sua ansiosa avidità di raggiungere il tutto, di vedere il più e il meglio possibile. Il tempo è il movimento di una cosa creata e noi affermiamo spesso che bisogna essere “progenitrici dell’istantanea mossa”. Questa logicità della percezione viene vista da entrambi attraverso un fenomeno di collisione fra vicino e lontano che noi chiamiamo “fenomeno d’accelerazione”. Carlo definisce il segno ed è destrorso, Fabio raccorda ed è mancino, uno nasconde, l’altro dimostra. Uno è la mano dritta, l’altro manovra con la sinistra in quel tavolo da lavoro, collocato in salotto “due rapportato a uno”. Il nostro disegno ha un desiderio di paternità, un’appartenenza, che non gli verrà mai riconosciuta».
Carlo e Fabio Ingrassia, Congiunzione di due oceani, 2015 Installazione ambientale, pastello su carta Schoeller e installazione ambientale
Riflessione sull’istantanea mossa e sul fenomeno d’accelerazione: potreste darmi una vostra definizione?
«Noi ci poniamo la questione sulla presenza materiale dell’opera come relazione fattuale, del suo darsi come fatto concreto. Il nostro disegno ha desiderio del vero e cerchiamo un segno che sia autosufficiente. L’opera a nostro avviso è un principio termodinamico: così asciutta, sale verso l’alto, cerca l’illuminazione, assurge a luce e prende fuoco facilmente come antenato, come mentore. L’essenziale per la logica di questo processo non è solo essere concretamente qualcosa, ma aderire o sottrarsi a qualcosa. Per fenomeno di accelerazione intendiamo quell’azione di raggiungere una certa velocità via via crescente, in quanto doppio e allo stesso tempo l’impossibilità di accelerarla. È l’esistenza di un nostro sistema che si mette in moto, che è la materia, la nostra velocità nell’azione di velare e rivelare: si muove e si propaga sempre con la stessa velocità, una sorta di “tempo identico” per accedere a quella che chiamiamo superficie diafana del colore. Bisogna che l’opera diventi tale e perché ciò avvenga occorre una decostruzione. Quando si verifica una decostruzione qualcosa si sta muovendo, si sta dislocando: la disgiunzione delle parti è forse il processo da porre in evidenza».
Mi piace questa idea di termodinamica. Vi vedo un afflato prossimo all’Idealismo romantico di Schelling, quasi organico, ma che propende ad un infinito di perfettibilità.
«Riteniamo che la forma dell’opera contenga tutto il processo artistico, come forma, come principio termodinamico, intravedendo in tale principio ogni spostamento, movimento immaginativo, riflessivo, intuitivo. Amiamo la sua natura autonoma ed è questa sensazione di corporeità, di organismo fisico, a renderla più completa. La psicologia di questo processo artistico viene vista e vissuta come sostanza e non come strumento di progetto per ottenere un dato risultato. Detto questo, crediamo di sposare solo alcune idee dell’Idealismo romantico tedesco e dell’Idealismo metafisico». 
Carlo e Fabio Ingrassia, Le stagioni del ricordo sono eterne perché fedeli ai colori della prima volta. anno 2009 tecnica pastello su cartone Schoeller e legno patinato, 98x23,5x33cm
Che approccio avete nei confronti del medium disegnativo?
«Tecnicamente ci avvaliamo di pastelli a pasta dura, a pasta morbida e gessati, mentre da un punto di vista metodologico per noi il fattore mediale è estremamente importante e si connota dalla padronanza tecnica che siamo riusciti a possedere. Il ripetere e affinare la tecnica conferisce autenticità al lavoro e una sua autorialità. C’è un valore di testimonianza e se c’è ripetizione, c’è possibilità di tecnicizzazione, dunque di registrazione, di archiviazione e di idealizzazione. Ci ricordiamo di essere stati, ma non sappiamo per quanto tempo potremmo aggiungere: forse questa è la nostra condizione davanti alla pratica creativa. Giorgio Morandi affermava: “La tecnica è un incidente, non è mai un progetto” perché è il proprio discorso artistico che mette in crisi, giocando d’anticipo sul pensiero dell’autore, creando ogni volta un gesto su misura. Nel tempo il nostro dire visivo ha subito un radicale mutamento ideativo e il disegno viene introdotto a dei motivi compositivi ed installativi. Lo straordinario alfabeto del disegno ci permette la materializzazione concettuale di qualsiasi elaborato e la sua leggerezza ci consente rapidamente qualsiasi scambio. Nel nostro lavoro pertanto tutto può entrare e avere risultati imprevedibili». 
Carlo e Fabio Ingrassia, Particolare Serie Astrazione Novecentista
Una riflessione sulla natura fabbrile dell’intervento creativo che prende le distanze dall’antropologo Richard Sennett, l’autore di L’uomo artigiano.
«Crediamo di essere dei portavoce: il tentativo per noi di determinare l’essere opera, a partire dall’opera stessa, si rivela inattuale. Il creare un’opera esige un’abilità artigianale e di questo gli artisti oggi ne sono perfettamente coscienti. Essi sono i primi a pretendere che si dia la massima attenzione alla tecnica e si abbia di essa una piena padronanza. Di conseguenza gli artisti si preoccupano di approfondire continuamente la conoscenza delle diverse tecniche. Opera = operante. Non si può essere predicatori dell’arte ma “praticatori”: secondo il punto di vista dei mistici di vari orientamenti religiosi, il compito dell’uomo non è di pensare il giusto ma di agire il giusto».
Maestri?
«I nostri maestri sono quelli che ci hanno saputo ascoltare, incoraggiare e governare. L’arte è un fatto di obbedienza, è una ripetizione. Crediamo che l’iterazione appaghi il desiderio di autenticità: dobbiamo immaginarci che l’anima chieda sempre le stesse storie per essere sicura che qualcosa durerà. Non solo durerà ma durerà come singolarità, come diceva Gilles Deleuze: “Perché solo ciò che è singolare celebra se stesso ripetendosi all’infinito”. Pratichiamo inoltre la disciplina dell’Aikido che va ben al di là della semplice pratica atletica o marziale, ma che è una vera filosofia di vita concreta, proprio da quel rimarcare l’associazione con il “vivo, pratico, respiro” ad una educazione, come processo di respirazione. Essa scandisce il nostro tempo, la nostra esistenza e aderisce alla logica dell’opera». 
Carlo e Fabio Ingrassia, I Limiti del Perdono, 2015
Il percorso di formazione. 
«I primi esempi di lettura delle forme li abbiamo appresi attraverso il gioco: pur non provenendo da una famiglia interessata all’arte abbiamo frequentato persone intimamente coinvolte. Ne diamo merito a degli amici di sempre come Antonio e Tano Brancato, ex allievi di Marino Marini, che sono stati per noi delle ombre paterne, ma non solo, possiamo elencare alcuni artisti che frequentiamo e di cui stimiamo il lavoro come Gianni Caravaggio, Diego Perrone, Francesco Gennari. Con l’affinamento strutturale e culturale ci siamo educati alla ricerca del “ben fatto” che è stato sempre tra le nostre prerogative: abbiamo iniziato a fare relazione e selezione, a distinguere un lavoro realizzato bene da un altro prodotto male. In una buona opera la forma è evidente, noi parliamo di “un’opera a colpo d’occhio” e a comprendere che essa dipende dalla capacità che ognuno di noi ha di saper leggere la struttura delle forme, di fare forma e di dare forma nei tanti modi possibili, di stabilire nessi ed alleanze compositive, a familiarizzare con alcune di esse piuttosto che con altre. Per dirla come Borges: “Il sogno di uno fa parte della memoria di tutti”. Ci siamo diplomati all’Istituto d’Arte di Catania e poi in scultura nell’Accademia della città. Il nostro processo di formazione inteso come pratica del fare è comunque avvenuto dentro le mura domestiche, in studio, nella stessa stanza dove lavoriamo da sempre. Eravamo sempre soli quando lavoravamo e lo siamo tutt’ora. Ci siamo autodisciplinati, il tentativo per noi è quello di superare l’altro, ed è in questo contatto con l’altro che ognuno di noi ritrova se stesso. È in questa ricerca che spesso si cerca un movimento ed in questo contatto con l’altro si è sempre in due. Abbiamo iniziato a dialogare, il nostro lavoro è fatto di compromessi, a volte si risolve bene, a volte si risolve male. Gli scontri per noi sono indispensabili per mantenere in vigore funzioni logiche». 
Carlo e Fabio Ingrassia, Pas Tout, anno 2015, vetro nero e cenere,150x150cm
Eppure avverto una volontà di controllo parossistica. Non credete che impoverisca la componente creativa?
«Noi facciamo ciò che siamo, ognuno è ciò che fa ed ognuno è quello che sceglie di essere, nessuna illusione, nessuna ipocrisia di fronte alla nostra coscienza. Nell’opera c’è tutto ciò di cui abbiamo bisogno, ciascuno è al suo posto e ciascuno fa solo ciò che è destinato a fare. La componente creativa di cui tu parli non è un accessorio caratteristico, non lo si può abbellire o perfezionare, o c’è o non c’è. L’espressività esiste anche per chi utilizza la materia con maggiore controllo. Esistono anche coloro che attraverso un gesto più segnico, più immediato, sono meno espressivi, raccontano meno e ciò è intrinseco nell’opera, è costitutivo, biologico. Esiste un fenomeno patologico e cioè il fenomeno di coloro che non vedono lo stesso. Noi per poter ottenere dei particolari gradienti di colore attraverso velature soffiate o riflesse, dobbiamo reinventare una nuova grammatica del colore o dei grigi, per cui se cambiano le parole e i loro significati, se cambia il pensiero, può cambiare con il tempo persino l’espressione. Lo sguardo deve essere all’altezza necessaria per capire ed apprezzare le cose vedute».
Carlo e Fabio Ingrassia: Quanti studio visit fai al mese?
Andrea Bruciati: «Pur non vivendo in una realtà metropolitana o in una città con delle strutture formative, almeno una trentina all’anno».
Carlo e Fabio Ingrassia nascono a Catania l’11 Marzo 1985. Vivono e lavorano a Catania.

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