04 aprile 2016

MARGINALIA #1

 
di Serena Carbone
Una nuova rubrica che indaga, esplora, vagabonda tra le zone periferiche del sistema dell’arte

di

Che ci potesse essere lo spazio, nessuno ancora lo sapeva. E il tempo, idem: cosa volete che ce ne facessimo, del tempo, stando lì pigiati come acciughe? (Calvino, Le Cosmicomiche)
Prima del big bang Calvino immagina l’universo concentrato tutto in un punto: “ogni punto di ognuno coincideva con ogni punto di ognuno degli altri in un punto unico che era quello in cui stavamo tutti”. Quando nacque lo spazio? Quando una donna disse: – Ragazzi, avessi un po’ di spazio, come mi piacerebbe farvi le tagliatelle! – Ed allora tutti iniziarono a pensare allo spazio che sarebbe servito alle braccia per impastare, alla farina per essere impastata, al grano per fare la farina, ai campi per coltivare il grano e al sole per farlo germogliare. E nel pensarlo questo spazio si formava. Da uno slancio d’amore erano nate le galassie, il tempo, la gravità. 
Che lo spazio sia una questione di immaginazione, almeno nell’arte lo sapevamo, ma un pizzico di poesia per ricordarcelo non fa poi così male, soprattutto alla luce della scoperta meravigliosamente catastrofica delle onde gravitazionali, divulgata un paio di settimane fa. Spazio reale o virtuale, questa rubrica si propone come un momento di indagine. E se non vogliamo ora dare delle definizioni a ciò che sarà, sappiamo ciò che non è: non una mappa dei luoghi del contemporaneo, né degli spazi no profit, non una rassegna sui giovani o meno giovani artisti, non si evolverà in un archivio, non è un diario personale e né di bordo. 
L’indagine, nonostante gli spazi si dispongano fluidamente l’uno accanto all’altro, ci direziona verso le soglie che lasciano intravedere i raggi di quella luna su cui Astolfo aveva recuperato il senno di Orlando. 
Tante pratiche di oggi si richiamano più o meno consapevolmente agli anni Sessanta/Settanta, quando la produzione teorica incideva notevolmente sulla produzione artistica. Quale teoria oggi è capace di incidere in maniera altrettanto determinante? Ma soprattutto richiamando alla mente le parole di Foster quando riflette sul rapporto tra avanguardia e neoavanguardia: come può il riconnettersi a pratiche del passato favorire il disconnettersi da una pratica del presente, e/o la nascita di una nuova pratica? Le decostruzione avviata ormai più di mezzo secolo fa, dove ci ha condotto? Molte delle operazioni “fuori museo”, allora contestualizzate in un’atmosfera sessantottina, oggi che senso hanno, dove si collocano?
Tra letteratura e arti visive cercheremo di indagare questo spazio ibrido in cui sembriamo essere ritornati “pigiati come acciughe” tutti in un punto, in attesa del prossimo big bang. 
Serena Carbone

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