25 marzo 2016

MARGINALIA #2

 
di Serena Carbone
Breve storia di Lu Cafausu, nato in un luogo talmente privo di senso da diventare simbolico

di

“Penso a mostre impossibili in cui non solo interrogare i morti, ma rispondere a loro. In cui avvicinarli come si avvicinano i vivi, con insofferenza, con amore, con invidia, con speranza. Come avviciniamo i morti in quelle mostre segrete che percorriamo dentro di noi”. 
Probabilmente, quando ha scritto L’isola volante, Giuseppe Pontiggia non conosceva Lu Cafausu, ma forse Lu Cafausu conosceva Pontiggia. Qualsiasi sia la verità, poco importa, perché in questo spazio li abbiamo fatti incontrare. Sembra infatti questo un incipit perfetto per introdurre una delle tante ramificazioni avviluppate a ‘lu cafausu, una straniante e straniata coffee house nel cuore di San Cesareo, in provincia di Lecce, “un luogo talmente privo di senso da diventare simbolico”. 
L’effimera ramificazione di cui parlo è La festa dei vivi (che riflettono sulla morte) che si celebra ogni 2 novembre da quando Emilio Fantin, Luigi Negro, Giancarlo Norese, Cesare Pietroiusti e qualche tempo dopo anche Luigi Presicce, hanno costituito Lu Cafausu, un collettivo visionario, poetico, quasi mistico per taluni aspetti. Riuniti intorno a questa struttura ridotta e circolare (‘lu cafausu appunto in dialetto pugliese), accogliente nelle forme ma indefinibile nella funzione, i cinque artisti hanno di fatto isolato e limitato uno spazio dall’ambiente del quotidiano, dando asilo per un attimo o per sempre, alla bellezza vagabonda. Dentro questo locus sacer valgono le regole del gioco. Lu Cafausu, luogo immaginario ma che esiste per davvero, sembra infatti nascere, morire e rigenerarsi grazie all’energia di una collettività giocante. Giocante come l’azione di colui che performaticamente vive, sogna, produce insieme ad un gruppo di astanti; del resto bisogna che «le regole della magia siano condivise da qualcuno – mi suggerisce Negro, che continua  – l’azione primaria della scultura è il mettere in materia», una malinconica materia, direi, che più cerchi di afferrarla, più lei sfugge. 
Lu Cafausu
Sarà per questo che le azioni di Lu Cafausu sono magicamente inafferrabili, nonostante lascino una traccia in quel lembo di esperienza che solo avvicinandosi al collettivo è dato fare. E sarà per questo che un loro riferimento importante è stato Ezechiele Leandro, artista outsider indomito, solitario e caparbio che dagli scarti del paesaggio ha tirato su l’incantato Santuario della Pazienza a San Cesareo di Lecce, oggi sotto tutela ma comunque in stato di grande abbandono. 
Lu Cafausu nasce nel 2007 ed è tutt’ora in corso, connotato da un’impronta anarchica quanto lontana dai circuiti ufficiali (anche se nel 2012 hanno preso parte a Documenta 13), negli ultimi tempi si è consolidato al punto di divenire Fondazione, con l’obiettivo di accrescere la componente di scambio e laboratoriale che pervade l’idea fin dall’inizio. Alla parola Fondazione, in realtà, un po’ strabuzzo gli occhi vista la marcata volontà di giocare fuori dal centro. Ma Negro non mi lascia dubbi: «Nella cultura orientale, le energie sia negative che positive sono dentro di noi, non vi è un demonio tentatore al di fuori che dobbiamo combattere o scacciare, tutto ha un posto internamente. Alla fine la Fondazione risponde alla medesima logica, noi assorbiamo la parte cattiva e la parte buona del gioco». 
Sarà un gesto di sussunzione volontaria a salvare il mondo? Potrebbe essere un’idea, del resto l’assunzione consapevole delle dinamiche di produzione e di circolazione delle merci, era una delle tecniche utilizzate dalla neoavanguardia per rispondere all’avanzare della società dei consumi. Ma alla domanda se esiste un legame con le pratiche degli anni ’60/’70, l’artista replica: «No, non credo. Oggi siamo piuttosto ad un punto di chiusura di quel periodo. E lo stesso crollo delle macerie potrebbe avere delle prospettive illuminanti». 
Serena Carboni
*Giuseppe Pontiggia, L’isola volante
**Johan Huizinga, Homo ludens 

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