10 giugno 2002

fino al 22.VI.2002 Graciela Iturbide Roma, Museo Andersen

 
Dice di essere fortunata perchè è nata in Messico: così coglierne la dimensione magica le è sempre stato naturale. Le leggende, Graciela Iturbide non ha bisogno sentirle raccontare, le ha già dentro. E la poesia dei luoghi e delle persone nelle sue fotografie, c’è, semplicemente...

di

In quella foto – che si chiama Il signore degli uccelli – c’è solo un cielo bianco, gli uccelli in volo e un uomo tagliato poco più sotto delle spalle.
L’immagine scattata da Graciela Iturbide (Messico, 1942) forse è diventata una specie di altro simbolo per FotoGrafia – I Festival di Roma (la foto della locandina della manifestazione è di Paul Fusco), è stata moltiplicata a corredo di articoli, recensioni, riprodotta sulla copertina del catalogo, negli inviti per l’inaugurazione ufficiale dell’evento… eppure sembra non aver mai rischiato di diventare invisibile, come Graciela Iturbideaccade sovente alle cose ripetute tante volte, proprio perché le abbiamo sempre sotto gli occhi: è intatta, chiusa, quasi, nella sua misteriosa, impenetrabile semplicità, nell’assenza di geometrie nascoste che la rendano interessante. Di fatto non è interessante, di sicuro è efficace, ma in modo del tutto involontario: comunica, si direbbe, mantenendosi su termini vaghi, senza riuscire a specificare cosa possa o voglia dire la fotografia di un uomo anziano sovrastato dal cielo e dai suoi abitanti. Probabilmente quel che c’è di poetico nel reportage di visioni di luoghi di Graciela Iturbide inizia dove si arrestano le parole, dove le frasi tentennano cercando simboli o sensazioni o – ed è forse la cosa peggiore – messaggi.
Con Miguel Alvarez Bravo (in questi giorni le foto del maestro messicano sono esposte su un improbabile fondo giallo-taxi a Palazzo delle Esposizioni, in una mostra da vedere a dispetto e nonostante l’allestimento…), di cui è stata allieva e assistente, ha – forse – in comune il sentore di sogno, di un qualcosa che ammutolisce i sensi, che appaga e placa l’inesorabile sistemadi lettura, quando troppo spesso si accontenta di smontare l’immagine; il divergere ci sembra si collochi dove nelle Graciela Iturbidefotografie del primo subentra un’immobilità stupita, attonita, surreale: in quelle di Graciela Iturbide l’incanto è affidato, semplicemente, alla solitudine dei pochi elementi, isolati dalla vastità di un cielo che occupa sempre gran parte dell’inquadratura.
La mostra, allestita presso il Museo Andersen (la cura Sibylle Pieyre de Mandiargues, in uno degli spazi che quest’anno è riuscito ad ospitare tra le mostre più interessanti in città), presenta una selezione di immagini, in cui forse non è importante rintracciare una possibile serie o una lettura cronologica; la Iturbide ha fotografato persone – gli abitanti di Juchitan – case, animali, cactus, intrecci di rami, solchi nel terreno.
Ed è nella distesa chiarissima, o tempestosa, vuota, o colma di nuvole, o annerita dalla tempesta o attraversata dagli uccelli, che si fermano per un po’ gli occhi di chi è dall’altra parte, spettatore.

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Il sito di FotoGrafia, I festival Internazionale di Roma, con immagini della mostra di Graciela Iturbide e testo critico del curatore

maria cristina bastante


Graciela Iturbide, a cura di Sibylle Pieyre de Mandiargues
Museo Andersen, via P. S. Mancini 20, 063219089, mar_gio 9-20 dom 9-20 ch ven_sab lun, ingresso gratuito, catalogo di FotoGrafia I festival Internazionale di Roma, edizioni Bruno Mondadori 25 euro


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