08 aprile 2016

L’intervista/Roberto Paci Dalò

 
Un’onirica composizione visiva alla deriva della storia
Roberto Paci Dalò racconta Filmnero, sulle tracce di tragedie da non dimenticare

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Difficile delineare la sua metamorfica prassi artistica e sintetizzarla in una sola, comoda definizione. Roberto Paci Dalò è artista visivo, scultore del suono, compositore, disegnatore musicista, regista e autore. Ha presentato sue opere negli spazi più prestigiosi, dalla Biennale di Venezia alla International Biennial of Contemporary Art di Göteborg, dalla Power Station of Art di Shanghai alla Kunsthalle di Vienna. Dal 1985 guida la compagnia teatrale Giardini Pensili, nel 1995 ha creato la web radio Radio Lada. È membro della Internationale Heiner Müller Gesellschaft di Berlino e della British Cartographic Society. Artista lirico e visionario, le sue performance catturano, sono stati immersivi, luoghi mentali, nei quali non esiste più lo spazio né il tempo, se non quello degli stati più profondi e meno sondati della memoria e dell’inconscio collettivo. I suoi complessi lavori si presentano come fossero un gioco di specchi frantumati e discontinui, nei quali la verità, con andamento sincopato, emerge dirompente e inaspettata dal riflesso e dal racconto del tempo storico lineare. 
Lo abbiamo intervistato per raccontarvi il progetto “Filmnero”, a cura di Maria Savarese, che sarà inaugurato il 13 aprile alle ore 18, a Napoli, presso lo spazio multidisciplinare di Giuseppe Mannajuolo Al Blu di Prussia. La presentazione del progetto avverrà Lunedì 11 aprile 2016, alle ore 18.00, al Museo MADRE, che ospiterà una conversazione con l’artista e Sargis Ghazaryan, Ambasciatore della Repubblica d’Armenia in Italia, moderata da Andrea Viliani e introdotta da una performance audio-video dell’artista, relativa al film 1915 The Armenian Files. La mostra antologica ospitata Al Blu di Prussia, presenta una selezione di film realizzati da Paci Dalò dal 2000 ad oggi, alcuni dei quali fruibili in modalità on-demand, gli altri in proiezione continua. Sarà esposto anche un corpus di disegni su carta che s’ispirano ai film. Durante la sera del vernissage, inoltre, sarà presentato al pubblico il libro d’artista edito da Il Filo di Partenope, storica casa editrice di libri d’arte. L’esposizione si concluderà il 18 maggio, con una serata in cui Paci Dalò eseguirà la performance live Fronti.
Roberto Paci Dalò, Ye Shangai, 2012
Qual è la genesi di questo progetto? Perché hai scelto il titolo Filmnero?
«Maria Savarese dopo aver visto i miei lavori filmici ha pensato che meritassero una mostra antologica completa, che permettesse ai visitatori di conoscere questa parte del mio lavoro. Ho accettato con molto piacere anche perché questo mi ha obbligato a riguardare e riflettere su quindici anni di cinema anomalo creato nei luoghi più impensati. La tipologia della galleria Al Blu di Prussia – non solo un sistema audio-video sofisticato nelle sale ma persino una perfetta sala cinematografica da 50 posti all’interno della galleria stessa – ha inevitabilmente contribuito alla costruzione progettuale. Si è poi pensato di creare un contrappunto ai film attraverso la presentazione di una serie di disegni su carta. Sorta di storyboard immaginari, glosse alle opere filmiche. Il titolo nasce da una poesia di Heiner Müller, uno dei miei autori e drammaturghi preferiti».
1915 The Armenian Files è un lavoro che s’ispira alla tragedia del Genocidio armeno del 1915, durante il quale oltre un milione e mezzo di armeni, vennero trucidati dal governo ottomano, nel primo genocidio della storia contemporanea. A tutt’oggi, a un secolo di distanza, quest’orrenda tragedia continua a non essere riconosciuta dal governo turco. Attraverso questo lavoro, abbiamo la possibilità di ascoltare le voci delle vittime che la storia ha cancellato. Osserviamo immagini seppellite sul fondo del tempo e riascoltiamo gli echi di quelle vite che sono state seppellite per sempre da questo crimine contro l’umanità, che ancora viene negato e sottaciuto da tanta parte della comunità internazionale. Mediante un lavoro di ricerca di tracce sonore e materiali d’archivio, hai voluto far riaffiorare alla memoria l’accaduto, in forma onirica, rievocativa, potente. Come mai hai incentrato la tua attenzione su quest’avvenimento così poco conosciuto ed indagato, per non dire censurato, della storia recente? 
«Lavoro sull’ “universo armeno” dalla fine degli anni Ottanta ed ho realizzato nel tempo diverse opere – disegni, teatro, cinema, musica, radio – legate all’Armenia e anche a un regista per me trascendentale come Sergei Parajanov. Nel 2015 si è ricordato il centenario del genocidio e ho voluto racchiudere tanti anni di passione armena in un’opera che viene presentata, ora, in più forme e modalità». 
Roberto Paci Dalò, Petroleo Mexico, 2005
Leggo sul retro del cd i titoli delle tracce sonore di 1915 The Armenian Files: 1. Mirk, 2. Sird, 3. Sirel, 4.Grag, 5. Arak, 6. Nairy, 7. Gaydz, 8. Hosank, 9. Sharjum, 10. Vorodoum, 11.Garmir, 12. Anabad, 13.Dalovian, 14. Alpaghian. Chi sono?
«Lascio ai lettori il piacere di scoprire il significato dei titoli, che hanno tutti un significato in armeno. Ma tre di loro sono nomi. Nairy è una persona per me importante che mi ha insegnato molto. Alpaghian è come veniva chiamato l’architetto Adriano Alpago-Novello dagli amici armeni. Alpago-Novello è stato lo studioso che ha compiuto tante missioni archeologiche nell’Armenia sovietica e ha pubblicato studi fondamentali che hanno fortemente contribuito alla conoscenza dell’arte, dell’architettura e della storia armene. Dalovian sono io, nella mia reincarnazione all’ombra dell’Ararat».
Nel 2015 hai ricevuto il Premio Napoli per il film Fronti. Da cosa hai tratto spunto per la tua ispirazione per questo lavoro e perché?
«Nel 2014 ho avviato un lavoro sulla Prima Guerra Mondiale con la creazione dello spettacolo di teatro-musica Il grande bianco prodotto dalla Fondazione i Teatri e presentato al Teatro Valli di Reggio Emilia. Questo primo lavoro su grande scala ha visto la partecipazione di molti interpreti e insieme ad attori e musicisti anche un coro alpino (Coro La Baita) che ha creato un precedente interessante poiché è stata la prima volta che un coro alpino si confrontava con una produzione contemporanea e persino con l’elettronica. A seguire c’è stata la produzione di Guerra Nostra (basata su un film di propaganda creato a partire da vere immagini girate sul fronte italiano) e Fronti è il terzo tassello di questo ciclo di opere. Fronti parte dalle immagini di Guerra Nostra che sono state completamente rimontate per costruire una nuova opera».
Roberto Paci Dalò, Atlas of Emotion Stream Storyboard, 2016
I tuoi lavori sono una commistione di media diversi ed intersecanti. Fotografia, scrittura, musica, performance, cinema, disegno, scultura, installazione, teatro, nei quali utilizzi strumenti musicali acustici ed elettronica. Sperimentatore instancabile del suono, del gesto, dell’immagine; la tua materia d’indagine sembra essere la memoria, lo spazio, il tempo, mai lineare. Scivoli obliquo tra generi e tecniche.  Tra i vari progetti che hai sviluppato in giro per il mondo, ce n’è uno al quale sei particolarmente legato?
«Tra le opere recenti mi piace menzionare Ye Shanghai una performance ed installazione audio-video creata per SH Contemporary, la fiera d’arte contemporanea di Shanghai, su invito di Massimo Torrigiani e prodotto da Davide Quadrio e Francesca Girelli, di Arthub. È un lavoro per me importante e mi è servito per applicare le mie modalità di lavoro all’universo Cina. Tematicamente parlando un’investigazione sull’incredibile storia del Ghetto di Shanghai che ha dato rifugio a migliaia di ebrei europei in fuga dal nazismo. Ye Shanghai ha anche visto un’uscita discografica con un album prodotto da Mirko Rizzi per Marsèll». 
C’è un aspetto, per te importante, che lega con un fil-rouge, tutti i film presentati in questo progetto?
«In generale sono film girati on location facendo tesoro dei luoghi e delle persone che li abitano. Da questo punto di vista si tratta di “derive” che vengono documentate attraverso immagine e suono. Questi due elementi sono complementari e di eguale importanza. È un cinema di viaggio che lavora per far incontrare le storie e le memorie individuali. Talvolta per evocare grandi eventi della Storia attraverso piccole, quasi invisibili, narrazioni di persone sconosciute. Narrazioni che non necessariamente sono legate alla parola. Quanto può raccontare un volto e i suoi segni? Uno sguardo?».
Roberto Paci Dalò - Atlas of emotion stream - 2009
Che valore hanno nelle tue opere, il silenzio, il vuoto, la pausa?
«Sono cresciuto, artisticamente parlando, con John Cage a New York. Un amico che mi ha fatto penetrare nella galassia del “presunto” silenzio. Dopo Cage nulla è più come prima».
Perché hai scelto la modalità fruitiva on-demand?
«In mostra le opere filmiche sono presentate in tre modi diversi e collegati tra di loro. Nelle sale le proiezioni sono simultanee su più pareti. Si tratta dei miei lavori in bianco e nero. Nella sala cinema si possono vedere le stesse opere senza soluzione di continuità su grande schermo e con suono impeccabile. La piccola “moviola” permette di visionare on-demand tutte le opere incluse quelle a colori e in animazione dando così completezza al progetto».
Quando realizzi le performance live, dove sei? In quale luogo mentale? In quale tempo?
«Una performance è per me il desiderio di costruire uno spazio-tempo altro. Un mondo parallelo, ma ben reale, dove si possano incontrare arte, scienza e natura. E dove si possano incontrare più tempi allo stesso tempo».
Il Mondo sembra essere scivolato in una perenne condizione di rimozione della memoria storica globale, del controllo, della censura, della miopia strategica, della guerra diffusa e della strategia del terrore costante. Quale via d’uscita?
«Studiare. Sempre».
Qual è il compito dell’arte?
«Vivere da vivi».
Marina Guida

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