19 aprile 2016

L’Intervista/Irene Baldriga

 
Impara l’arte. Prima di tutto a scuola. La discussione sulla presenza della storia dell’arte nelle scuole è ancora accesa. Ma intanto esce un manuale che ne cambia la prospettiva

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È nato un nuovo manuale di Storia dell’arte, pubblicato da Mondadori per la collana Electa Scuola. Dentro l’Arte è composto da cinque volumi e si rivolge alla Scuola Secondaria Superiore. Un percorso dalla Preistoria ad oggi che offre agli studenti un metodo di studio ampio ed interdisciplinare, che proietta nell’acquisizione delle competenze e che non toglie – anzi riaccende – il desiderio della narrazione e del sogno. L’autrice unica di questa magna opera è Irene Baldriga, professoressa di storia dell’arte nelle scuole secondarie e in ambito universitario, da anni impegnata sul fronte della sperimentazione didattica e della valorizzazione dell’insegnamento della Storia dell’Arte in Italia e in Europa. Ha collaborato con “RAI Educational” e scrive per la Rivista “Tuttoscuola”. Le guide d’autore presenti nei testi sono state curate da Antonio Paolucci, attualmente Direttore dei Musei Vaticani, mentre Matteo Pericoli è l’Art Director dei disegni che sono stati appositamente realizzati per l’opera. L’abbiamo incontrata.
Contesto, metodo, confronti: sono le parole chiave alla base di Dentro l’Arte. Da quale esigenza nasce e a chi è destinata l’opera? 
«Questo lavoro è frutto di tante esperienze diverse, di quella relativa all’insegnamento ma anche di riflessione sulle funzioni educative della storia dell’arte nella scuola. L’opera è rivolta principalmente agli studenti della Scuola Secondaria Superiore. L’esigenza di scriverla nasce dalla volontà di rafforzare il più possibile la funzione formativa della storia dell’arte nella scuola in un’ottica di maturazione di principi di cittadinanza, forti e responsabili, presso i ragazzi. Credo che la storia dell’arte sia una disciplina che meriti una maggiore valorizzazione e vada potenziata nella scuola in tutti gli indirizzi di studio, compresi gli indirizzi tecnici e professionali, uscendo da quello che è stato un approccio assolutamente iniquo, cioè quello di pensare che le discipline umanistiche dovessero essere destinate soltanto agli studenti liceali. Di fatto, si è così privata una parte della cittadinanza italiana di un diritto alla conoscenza del patrimonio artistico, ma anche un diritto alla identità e alla memoria. Insistere sul contesto, sui metodi e sul confronto vuole ribadire la forza epistemologica della disciplina che per sua ricchezza può aiutare gli studenti a rapportarsi con la complessità. È un’opera che offre in tal senso degli strumenti forti di maturazione». 
Dentro l'arte, volume 5
Perché è importante insegnare la storia dell’arte nella scuola italiana?
«Vorrei innanzitutto sottolineare la modernità dell’insegnamento della storia dell’arte. Non sono contraria a molte delle novità che sono state introdotte nella scuola e sulla scia di orientamenti che vengono prevalentemente dall’Europa e che nascono da una visione non soltanto italiana. Insistere per esempio sulla didattica delle competenze e sull’apprendimento situato – e quindi su un apprendimento che punta al saper fare – ha un suo senso preciso in una realtà così complessa quale è la nostra. La storia dell’arte ha una vocazione – direi – alla complessità e alla didattica delle competenze. Intanto perché ha un rapporto diretto con la cultura materiale, con ciò che si vede, si tocca e si può esperire direttamente, che si può conoscere e che qualifica il quotidiano. Partire dal dato reale è un elemento di forza che caratterizza la storia dell’arte, è un elemento che ci aiuta ad andare incontro ai giovani. La storia dell’arte ha dunque questa vocazione: il contatto con la cultura materiale, l’approccio visivo, ma anche la necessità di andare oltre questa apparenza per comprendere un contesto molto più articolato E, se ben insegnata, se ben impostata metodologicamente, incoraggia l’elaborazione del pensiero critico, del pensiero autonomo». 
In un’epoca in cui quasi tutto è multitasking e veloce, è possibile dire che lo studio dell’arte restituisca il valore della lentezza e la percezione del sogno?
«Questo è uno dei tempi ispiratori dell’opera. La storia dell’arte e l’educazione al patrimonio sono una grande palestra delle emozioni. Palestra sentimentale che si accompagna al rigore del metodo. I pilastri che ho cercato di dare ai volumi sono da una parte il rigore della metodologia – cioè uno studio che sia strutturato, serio e forte – e dall’altra il diritto alle emozioni e il diritto alla bellezza. I ragazzi hanno molto bisogno di recuperare il gusto della narrazione. Io sono l’unica autrice: è raro che un manuale così ricco, così importante venga scritto da un sola persona. Il senso di aver fatto questo deriva anche dalla voglia, dalla forza, dal bisogno di restituire il piacere della narrazione, perché la storia dell’arte è anche un grande racconto dell’umanità e della società che si trasforma». 
Giotto, Crocifisso, particolare, 1288-1290 ca., tempera e oro su tavola, cm 578x406. Firenze, Santa Maria Novella.
Ecco quindi anche l’attenzione alla parola.
«Certo, una grande attenzione alla parola, al linguaggio che sia sì accessibile ma al contempo ricco e capace di ispirare ed evocare. Perché nel tempo aver dato troppa importanza o aver reso prioritario un approccio che fosse banalizzante, di fatto ha privato gli studenti del diritto alla ricchezza espressiva che noi dobbiamo restituire loro. Possedere un linguaggio ricco significa anche avere un pensiero ricco. Questo è il bagaglio che abbiamo cercato di far confluire in quest’opera». 
Parlare di arte significa parlare di bellezza. Ma come è possibile avvicinare gli studenti alla dimensione più concreta di quella che è stata e continua ad essere ancora oggi la bellezza delle opere d’arte? 
«Credo che la chiave fondamentale sia quella dell’educazione al patrimonio, che significa esperienza diretta delle opere, quindi entrare nei musei, comprendere il territorio, leggere l’ambiente che ci circonda. La storia dell’arte è la chiave giusta per promuovere un’etica della responsabilità tra i giovani e in generale tra i cittadini italiani. Un’etica della responsabilità che si manifesta col prendersi cura del patrimonio artistico e culturale di cui noi siamo eredi e che noi trasmettiamo ai nostri ragazzi, ai nostri studenti, rendendoli consapevoli dell’importanza della continuità fra il passato e il presente. Nei volumi si parla spesso di educazione alla cittadinanza, ma si parla anche di tutela, di restauro, si creano laboratori di discussione alla fine di ogni capitolo per incoraggiare una riflessione matura su questo tema». 
Di cosa hanno bisogno i ragazzi di oggi?
«Di essere protagonisti. L’apprendimento non può più essere quello frontale, anche se poi si ha molta difficoltà nel mettere in pratica questa indicazione. Per rendere protagonisti i ragazzi e farli consapevoli del proprio processo di apprendimento bisogna anche renderli responsabili. Autonomia uguale responsabilità. Non c’è tutela dove non c’è conoscenza, non c’è consapevolezza se non si parte dai saperi. Ho cercato di creare uno strumento didattico che fosse innovativo e adeguato alla scuola di oggi. Quindi la didattica delle competenze trova una sua realizzazione pratica: esercitazioni di fine capitoli che sono incentrate sul tema. Però è anche un testo che parte molto dai contenuti e dai saperi. La competenza va benissimo, ma la competenza senza i contenuti non può neanche essere considerata. La storia dell’arte è una disciplina di sostanza e di fortissimo valore educativo. Ecco perché va valorizzata e deve entrare in tutti i bienni di indirizzo di studio. Deve far parte del diritto allo studio, deve diventare una parte sostanziale della formazione del cittadino italiano». 
Edgar Degas, La classe di danza, 1873-1876, olio su tela, cm 85x75. Parigi, Musée d’Orsay
Punto di forza del manuale Dentro l’Arte è il carattere interdisciplinare dei capitoli: il lettore ha la possibilità di entrare nel contesto storico–artistico anche grazie alle rubriche Geostoria e Icostoria. 
«Ho lavorato molto sulla interdisciplinarietà. E non parlo di citazioni erudite. Non basta fare i nomi di Dante, Sofocle o Manzoni: sono riferimenti colti ma che presi da soli allo studente non dicono nulla. Bisogna scendere nel dettaglio, bisogna mettere il testo letterario accanto al testo figurativo. Bisogna descrivere una composizione musicale, offrendo dei richiami che poi l’insegnante possa effettivamente usare in classe. Un approccio di immersione nel contesto». 
E i docenti, quali aspetti non dovrebbero mai tralasciare per motivare gli studenti allo studio della disciplina?
«Innanzitutto devono sempre partire dal dato reale. È fondamentale che la storia dell’arte venga insegnata anche nei luoghi dell’arte. Il rapporto con il museo e soprattutto con il territorio deve essere una parte sostanziale del lavoro dell’insegnante. Non si può studiare la storia dell’arte soltanto sulle fotografie e sul libro, sulla base delle descrizioni del docente o ancora peggio sulla base delle diapositive. Questa è la prima cosa. La seconda attiene al metodo. Cioè non si può parlare di storia dell’arte senza che si parta proprio da un percorso di lettura e di comprensione della forma, passando poi al contesto. I ragazzi sono bombardati da un linguaggio visivo, ma in realtà vedono pochissimo. Non vedono nulla, a volte. Mostriamo loro delle opere e non vedono niente. Bisogna invece educarli alla lettura: decodificare il linguaggio figurativo in termini di messaggio e comunicazione. In questo senso credo che gli insegnanti debbano lavorare molto, coinvolgendo i ragazzi con laboratori e attraverso un apprendimento cooperativo». 
Marina Abramović, Confessione, 2011, fotografia della performance alla 54ma Biennale di Venezia.
In questo momento lei sta tenendo anche dei seminari di aggiornamento professionale per docenti e operatori del settore. 
«Abbiamo pensato di accompagnare la presentazione del libro con degli incontri che si stanno svolgendo nei principali musei italiani. Ovviamente non è affatto casuale: c’è il desiderio di favorire l’incontro fra la scuola e il museo, perché sono le due agenzie formative per eccellenza dei cittadini e dei valori di cittadinanza. In ogni appuntamento si affronta un tema diverso: il patrimonio diffuso, l’inclusione, l’integrazione culturale, lo sviluppo sostenibile. Il tutto per valorizzare la forza metodologica della disciplina e le sue potenzialità per la crescita del paese. Infatti il patrimonio artistico è anche una risorsa economica e di sviluppo, l’importante è che tutto questo venga attuato attraverso un senso di responsabilità, di forte consapevolezza, di priorità di tutela e di valorizzazione responsabile del patrimonio stesso. Se noi non formiamo i cittadini, se noi non li rendiamo consapevoli della ricchezza del patrimonio, della sua fragilità, della sua importanza della trasmissibilità alla generazioni future, non possiamo sperare in uno sviluppo sostenibile del patrimonio culturale. Nel nostro piccolo abbiamo cercato di contribuire alla crescita del Paese e al miglioramento della scuola. Ma tutto deve partire dagli insegnanti. Si crea uno strumento didattico perché si crede nella scuola». 
Alessandra Angelucci

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