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Quanto sia importante, sostenuta e utilizzata, la dimensione dell’arte pubblica, è innegabile. Stavolta ci hanno provato quelli di Flux Art Fair, kermesse nata lo scorso anno e improntata sulla promozione degli artisti “local” di Harlem, il vecchi ghetto black di Manhattan, a nord di Central Park.
Se non siete troppo fighetti e non vi fanno paura qualche fermata di metropolitana in più, potete farvi un giro al Marcus Gravey Park, a due passi dalla fermata della 125esima strada est. Non aspettatevi certo un giardino come Central o Prospect Park, ma piuttosto un’isola di verde che è stata riempita di sculture, installazioni e interventi urbani, proprio in occasione del primo anniversario della piccola fiera.
Gli artisti ovviamente sono dell’area e hanno lavorato su un tema abusato ma che da queste parti, forse, può aiutare un po’ a capire gli intenti: “Changing Landscapes“. Se respira, insomma, la voglia di rimettere in moto un’area, che forse con l’Harlem Studio Museum e il suo ampliamento potrà avere una botta di vita, perché nonostante Harlem non sia più quella che ci ha raccontato Hollywood o le cronache varie ed eventuali, resta forse una roccaforte un poco lontana dalla vita di New York e più vicina a quella del Bronx.
Le sculture, da Surge di Lucy Hodgson, curva di acciaio e legno, a Sprout di Sui Park, vegetali costruiti con la fibra che diventano ambiente naturale per gli scoiattoli, dall’Urban Structure di Kurt Steger che lavora sulla dimensione geometrica della pietra fino al Filling in un muro di cinta di Jeffrey Allen Price, che usa un’accumulazione di plastica per riempire un buco dovuto forse alla mancata cura del parco, forse non saranno così memorabili agli occhi degli art lovers internazionali abituati a fiere e musei e cocktail, ma da queste parti il tentativo (nobile) dell’arte, è forse quello di scavare un po’ più in profondità, per cambiare un poco il paesaggio anche sociale.