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Siamo tornati a Chelsea, per un altro giro di ricognizione che forse, per certi versi, si dimostra ancora migliore del primo. Tra i leoni della zona la qualità è altissima, e sicuramente tappa obbligata è da Barbara Gladstone, che ha aperto il solo show di Anish Kapoor. Non aspettatevi una mostra: si tratta dell’ultimo, monumentale, progetto. Nelle due sedi della galleria va in scena “Today You will be in paradise”, e l’intervento è Internal Objects in three parts, e in effetti si tratta di una scultura non ben identificata, un enorme arcata dentale, quasi, composta da una base di marmo e realizzata in silicone e cera. L’odore è forte, l’installazione pure: ancora una volta Kapoor ci mette di fronte al processo organico, al corpo, all’inquietudine della visione di “oggetti interni” sviscerati.
Incantevoli, in senso poetico, le due installazioni progettate da Janet Cardiff e George Miller, nella mostra “The marionette maker”, in scena da Luhring Augustine. Nella prima sala, in un vecchio caravan, lo spettatore si pone come voyeur al cospetto di un mondo fantastico, onirico, sbirciando tra i movimenti meccanici delle piccole bambole appese ai fili che rendono l’interno del prefabbrico a ruote una sorta di cinema, uno stage teatrale dal grandissimo fascino. Ma è la seconda sala a vincere: su un vecchio tavolo una serie di casse acustiche vengono azionate dal passaggio degli spettatori: a seconda dei movimenti voci bianche, chitarre elettriche, batterie o silenzio. Gli artisti, che collaborano dal 1995, riesce ancora a creare un bella sinfonia a ogni livello.
Da Matthew Marks, invece, oltre 30 disegni del californiano Ken Price, per respirare un’aria più leggera e scoprire una Los Angeles quasi immaginaria, i vulcani hawaiani, dove l’artista è rimasto affascinato dal senso sublime della natura.
Decisamente meno convincente, anche se di grande qualità, il ritorno di Cindy Sherman da Metro Pictures, nella sua nuova mostra dal 2012 e in attesa della retrospettiva al Broad di L.A. L’artista nata in New Jersey, non più una ragazzina, stavolta si è focalizzata sull’interpretazione di “donne di una certa età” e dal piglio decisamente aristocratico, in una maniera o nell’altra. Non troppa inventiva insomma, nonostante manipolazioni digitali e un’eccellente qualità. E ci mancherebbe. Infine il “giovane” James Turrel, con quattro ambienti di luce e una serie di disegni preparatori, tutti datati alla fine degli anni ’60, è in scena da Pace. Ed è sempre una magia attraversare la sua poetica luminosa.