08 giugno 2016

Fino al 22.VII.2016 Louise Nevelson Fondazione Marconi, Milano

 

di

Nel mese di maggio del 1973, a Milano nello Studio Marconi, espone Louise Nevelson ancora poco conosciuta in Europa. Due anni prima Giorgio Marconi la scopre in occasione di una mostra a Parigi e tramite la Pace Galleria di New York, andò a trovarla nel suo studio-laboratorio. Da quel momento tra i due incomincia una proficua e durevole amicizia e collaborazione, scatta l’empatia che ha dato il via a diverse mostre organizzate in Italia e all’estero. Dopo più di quarant’anni, la scultrice ucraina, nata a Kiev nel 1899, americana d’adozione, scomparsa nel 1988, è tornata alla Fondazione Marconi con una retrospettiva museale mozzafiato a cura di Bruno Corà, dove sono esposti un’ottantina di lavori tra sculture e collages, tutti Senza titolo in diversi formati, monocromi e quasi sempre su cartoncino, fatti aderire a un supporto ligneo dagli anni Cinquanta agli Ottanta.
Nevelson, ex assistente di Diego Rivera e Frida Khalo, affascinata da Picasso e dal  Cubismo, da Duchamp, Brancusi che sintetizza l’essenzialità e la tensione all’assoluto, dal Surrealismo, da Giorgio De Chirico, dall’arte nativa del Nord e Centro America e dalla pittura murale, negli assemblaggi e nella tecnica del collage trova il suo codice compositivo, poetico autonomo e nella pittura monocroma (bianco, nero e oro) una vocazione spirituale. Tutto il suo fare rigoroso “d’impaginazione” di materiali diversi (doghe, cassette, legni sagomati, scarti di falegnameria, gambe di tavoli, ecc.), di ordinare resti o frammenti di tempo “perduto”, ruota intorno al concetto di prendersi cura delle piccole cose, di salvaguardare gli oggetti obsoleti, carichi di un vissuto dall’oblio attraverso un processo di risignificazione, che passa dalla scelta di omogeneizzazione della pittura monocroma. 
Louise Nevelson, Senza titolo, 1966 tempera, carta e legno su tavola 90 x 60 cm
L’impatto scenografico con la potenza plastica e l’equilibrio compositivo della Nevelson, comincia al piano terra della Fondazione, davanti al monumentale assemblage: Homage to the Universe (1968), su legno dipinto nero- carbone, composta da migliaia di frammenti di legno diversamente accostati, incastonati dentro a moduli geometrici, parallelepipedi, cubi, rettangoli, triangoli e ovali, che ridefiniscono puzzle  tridimensionali , morfologie rigorose di eco metafisico e costruttivista in bilico tra Nouveau Realisme e Minimalismo. “Ho fatto scultura, pittura, disegno, grafica, qualsiasi cosa visiva. Ora anche il collage. Ho introdotto legno naturale, vetri colorati, vecchie incisioni…Ogni pezzo che faccio diventa per me una cosa realmente viva, molto viva”, scrive la Nevelson che lavora su oggetti residuali non per ricorrere uno stile, ma la vita stessa, rispondendo a un’esigenza di carattere antropologicamente religiosa, con l’intenzione di rilegare, di mettere insieme tasselli di memoria di un vissuto. Come, lo si scopre percorrendo i tre piani della Fondazione, dove non soltanto i grandi collage ma anche sculture, bassorilievi astratti di grandi dimensioni in cui pieni e vuoti declinano le sue caratteristiche: monumentalità, monocromia e dislocazione dei piani dalla profondità ridotta. In Dawn’s Host e nella serie End of the Day, con il sole e la luna, l’inizio e la fine del giorno, l’alba e il crepuscolo di cose assemblate in maniera armonica, la protagonista è la metafisica degli oggetti del quotidiano, dall’equilibrio compositivo giocato su piani prospettici e rapporti cromatici, che visti nel complesso acquistano una dimensione nuova, e nelle grandi sculture una tensione sacrale emozionante.
Jacqueline Ceresoli
mostra visitata il 12 maggio
Dal 13 maggio al 22 luglio 2016
Louise Nevelson
Fondazione Marconi Arte Moderna e Contemporanea
Via Tadino 15, Milano
Orari: da lunedì a venerdì 10-13, 15-19

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui