21 giugno 2016

Chris Dercon, direttore “banalmente internazionale”. Una missiva infuocata arriva al Ministero della Cultura tedesco, dai lavoratori del Volksbühne di Berlino

 

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L’annuncio era stato dato nell’aprile di un anno fa, e ormai i termini del suo ingresso nello storico teatro berlinese del Volksbühne, come direttore artistico, sono imminenti. Parliamo dell’ex direttore della Tate Modern, Chris Dercon, che al museo inglese aveva attirato con i suoi programmi un numero record di visitatori dal 2007 ad ora, e sotto il cui registro la Tate ha costruito la sua nuova vita.
Dercon andrà a sostituire Frank Castorf, direttore del teatro tedesco negli ultimi 25 anni, ma le idee dell’ex numero uno di Londra sembrano decisamente non piacere ai lavoratori del teatro tedesco.
Una missiva firmata da 172 figure dell’istituzione è stata invita al Ministro Monika Grütters esprimendo “profonda preoccupazione” per il cambiamento che si avvicina. Sarà che i dipendenti si erano abituati al “regno” di Frank Castorf, che è stato alla guida del teatro per quasi 25 anni? Sarà anche che la cultura tedesca era stanca di questa egemonia e ha deciso di dare una spolverata all’istituzione?
Sarà, ma è proprio questo che viene contestato: secondo i firmatari Dercon si appresterebbe a “rappresentare il livellamento storico e la distruzione dell’identità del Volksbühne. L’indagine dell’arte come risposta al conflitto si sposta a favore di una cultura del consenso esteso a livello globale, con la presentazione uniforme di modelli precostituiti – si legge nella lettera, che continua – Temiamo tagli, fino alla negazione di intere compravendite. Un indebolimento del potenziale esistente porterà ad un indebolimento del Volksbühne, e ciò potrebbe avere un effetto a catena devastante su tutto il paesaggio del teatro tedesco”.
Mica male come attacco, specificando che non è tanto il nuovo direttore artistico il destinatario del messaggio, quanto agli uomini della politica culturale berlinese: “in nome di una presunta internazionalizzazione si sta lavorando duramente per distruggere l’originalità e la diversità con la quale il Volksbühne è associato”. Paura giustificata, o no? 

2 Commenti

  1. >>>anche Carolyn Christov Bakargiev firma sprezzante appello contro i lavoratori del teatro e a sostegno di Dercon. Sottolineo che Bakargiev per la seconda volta e pochi anni dopo la “figlia di Mario e Marisa Merz” a Torino guida un’istituzione d’arte pubblica (con i soldi di chi?) come se fosse la galleria del suo limitato gusto personale e il mausoleo di stato dell’Arte Povera. Evidentemente è proprio tale deriva di estremo personalismo che censura ogni altra visione, prospettiva, approccio, contesto in nome di una delega che arriva dalla politica e da “modelli precostituiti” imposti su scala globale che i lavoratori del teatro tedesco temono. Se alcune istituzioni artistiche torinesi hanno accettato di entrare in una sorta di coma pilotato da decenni, tale scelta ha costi culturali e professionali altissimi e pretendere da altri di inseguire tale deriva è semplicemente assurdo. La casta esponente della cultura gerarchizzata e globalizzata dei firmatari dell’appello parla di “colpo di stato”, si trincera con toni minacciosi dietro la delega ricevuta da Dercon dalla politica, quindi introduce implicitamente tra il direttore artistico ed i dipendenti del teatro quel genere di sfida che punta ad ottenere il silenzio di ogni alterità di pensiero attraverso l’autocensura, gli stessi metodi da essi solitamente attuati con la categoria professionale degli artisti. Tutto ciò in nome della “Berlin’s global stature”, quasi che la “Berlin’s global stature” si alimenti di disprezzo per ogni confronto, dibattito, discussione.

  2. Concordo pienamente con il commento di Daniele.
    Abbiamo ormai due categorie di critici curatori: da un lato quelli più “istituzionalizzati” con tante chiacchere di facciata e molto burocratici nella sostanza, succubi di certe gallerie e certo collezionismo asseragliati su scelte ormai vecchie o più giovani ma che non mettano in discussione quelle vecchie, con inevitabile conflitto tra l’influenza di pochi privati e la funzione pubblica dei musei che dovrebbe favorire anche i dissidenti e le voci fuori dal coro per un dibattito e un confronto reale. Dall’altro lato una pletora sovrabbondante di operatori dalle provenienze più diverse che vorrebbero farsi strada come curatori utilizzando masse di artisti mediocri intercambiabili e sopratutto innoqui, per non correre rischi di lesa maestà. Insomma ordine e disciplina in alto e grande confusione con effetto di calma piatta in basso.

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