29 giugno 2016

Turchia e sangue

 
Continua la scia di stragi in Turchia: è toccato poche ore fa all'aeroporto Ataturk di Istanbul. Poco da dire di nuovo, se non che anche stavolta qualcuno rivendicherà, mentre gli attentatori non parleranno. E un altro pezzetto d'Europa è più lontana

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Istanbul è la porta orientale d’Europa. La Turchia non è in Europa, come non lo è mai stata fino in fondo la Gran Bretagna, oggi meno che mai, ma in entrambi i casi – del continente su cui poggia anche l’Italia – fanno parte simbolica e non solo anche questi Paesi. 
La Turchia ha un governo che impedisce di diffondere informazioni e immagini sui luoghi dove sono stati ammazzati, di nuovo, dozzine di umani, per mano di tre attentatori che si sono fatti saltare in aria, mentre gli altri sono stati uccisi dalla polizia. Ancora una volta un aeroporto, ancora una volta uno scalo e un terminal internazionale, per aumentare la paura di viaggiare, di incontrarsi, di scambiarsi cultura. Passeggeri barricati nei negozi di Ataturk, panico, e ora la chiusura, esattamente come a Bruxelles. 
Si parlerà di matrice islamica, con il ministro della Giustizia turco Bekir Bozdag che ha già parlato di “terrorismo”: una bella scoperta, se non altro perché chiunque compia un’azione del genere, per qualsiasi motivo, è il terrore che vuole suscitare. 
Chissà se ora pregheremo tutti, come per Parigi e Bruxelles, o se ancora una volta i morti turchi passeranno un poco in secondo piano, come quelli di 20 giorni fa accanto all’Università, come quelli di Sultanahmet, come quelli che erano rimasti colpiti sulla strada dello shopping dietro piazza Taksim, Istiklal, o come quelli rimasti sulle strade di Ankara. 
Difficile, ora, pensare a che sarà domani, se non che un altro pezzetto della nostra libertà scompare, preda dell’ultimo fanatismo, della ribellione, o della rabbia cieca che invece di tentare di colpire chi di dovere dimostra la sua stupidità, e la sua forza, in mezzo alla vita vera. (MB)

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