02 luglio 2016

Walker Evans, la storia sono loro

 
Duecento scatti del fotografo americano sono di scena a Reggio Emilia in due mostre. Dove emerge la sua capacità di ritrarre soggetti anonimi facendone dei protagonisti

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“L’artista è un collezionista di immagini che raccoglie le cose con gli occhi. Il segreto della fotografia è che la macchina assume il carattere e la personalità di chi la tiene in mano. La mente lavora attraverso la macchina”. Ad avere questa idea umanizzata della fotografia e della macchina fotografica è Walker Evans, cui Palazzo Magnani di Reggio Emilia dedica una doppia mostra in occasione di Fotografia Europea (fino a 10 luglio). Questa undicesima edizione del festival ha come tema “Strade, viaggi, confini”, e la mostra “Anonymous” di Evans, in anteprima nazionale dopo le tappe di Bruxelles e di Arles, si confà particolarmente al tema. 
L’esposizione si propone come un approfondimento del lavoro meno noto di Evans: l’editing dei testi. A differenza di molti altri fotografi, Evans esercitava il controllo su tutto il processo di comunicazione: dalla pubblicazione della foto alla sua  impaginazione, al testo che l’accompagnava. Non è un caso che all’inizio della sua carriera fosse indeciso se essere uno scrittore. 
Walker Evans, Store Alabama 1936 © Walker Evans Archive, The Metropolitan Museum of Art, New York
La mostra prende il titolo da uno dei reportage più celebri di Evans: “Labour Anonymous”: si tratta di una serie di ritratti dei passeggeri della metropolitana di New York scattate durante la loro uscita in strada. Un pomeriggio Evans nasconde sotto il soprabito, all’altezza della pancia, la sua macchina fotografica e scatta, sempre dalla stessa posizione, fotografie a passanti ignari di essere oggetto delle sue riprese. La quotidianità, la vita delle persone comuni viene impressionata sulla pellicola senza pose e senza filtri, testimoniando l’America più vera, non quella sfavillante e glamour che i media pubblicavano sulle copertine dei giornali. 
Labor Anonymous occupa la sezione del primo piano; le fotografie sono disposte su tre file come a ricreare quella strada dove in un solo pomeriggio Evans dà nuova luce alla ordinarietà di un’azione: passeggiare sovrappensiero all’uscita da un mezzo pubblico. Anche lo spettatore diventa passante fra le fotografie di pedoni ignari, consapevole tuttavia di essere un testimone “a posteriori” della situazione americana dopo la grande depressione, un tema approfondito da Evans con numerosi reportage, soprattutto dopo il suo ingresso alla Farm Security Administration (istituzione  divenuta sinonimo di una delle più grandi esperienze di reportage fotografico della prima metà del Novecento). Le sue fotografie mostrano le condizioni di vita di quegli anni: volti corrucciati di operai in ambienti spogli o visi di passanti newyorkesi, oggi autentiche icone.  
Walker Evans, Alabama, 1936
Le pareti grigio scure di Palazzo Magnani, illuminate dalle luci soffuse, ospitano cornici minimali di legno chiaro, a simboleggiare quel sottile confine tra la vita di allora e quella odierna. Spesso, durante il percorso, alle fotografie in bianco e nero si accompagna il giornale o la rivista, custodito in vetrina, in cui viene riportata la fotografia stampata ed impaginata secondo il volere dell’autore. in Anonymous è esposto anche il catalogo della prima mostra monografica realizzata al MoMA nel 1938 – la prima mostra in assoluto dedicata ad un fotografo – di cui Evans curò la selezione delle immagini  e dei testi. La mostra si sviluppa quindi su pellicola e su carta, un doppio binario in cui la dimensione estetico visuale e quella documentale corrono in parallelo. 
Chiude il percorso al primo piano una serie di Polaroid, repertorio meno conosciuto dell’autore. Evans si avvicina a questo mezzo nel 1973 e continua  a scattare fino al 1975, anno della sua morte, producendo più di 2500 immagini. Il piccolo formato gli permette di tornare all’essenziale, di cogliere la “poesia minimale” della strada americana, immortalandone gli oggetti più rappresentativi come insegne, scritte sui muri, lattine schiacciate,  segnaletica. 
Walker Evans, Pedestrian, Detroit, for Labor Anonymous, Fortune, Detroit, 1946, Fondation A Stichting collection, Brussels. © Walker Evans Archive, The Metropolitan Museum of Art, New York.
Il piano terra propone, invece, “Walker Evans. Italia”, mostra ideata appositamente per il circuito del Festival, dove accanto agli scatti di Evans  sono esposti alcuni lavori di fotografi italiani del secondo dopoguerra che più ne hanno ammirato la ricerca. Gabriele Basilico, Luigi Ghirri – che come Evans nutriva una passione per le cartoline – Guido Guidi e Olivo Barbieri sono presentati con una selezione di scatti che meglio si accostano alla poetica di Evans e con rari materiali bibliografici provenienti dalle loro collezioni. 
Al visitatore rimane la sensazione di essere transitato su una sottile linea che divide l’arte dalla documentazione, una separazione che Walker Evans ha cercato di coniugare con grande maestria. 
“Vedi bene che l’arte è senza utilità, mentre un documento ha un’utilità. Per questo l’arte non è mai un documento, ma può adottarne lo stile. È quello che faccio io”. Parola di Evans 
Chiara Tonelli

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