06 luglio 2016

Per Valentino Zeichen

 
di Adriana Polveroni

di

Come fai Valentino ad essertene andato sul serio? Non sarà uno scherzo, un colpo di mano funambolico che fa pari col tuo nome (vero, falso?), con la data della tua nascita (vera, falsa?) con tutta una vita presa contromano, soave pur pensando spesso alla morte, dandy e di severi principi, signore dei salotti e baraccato? 
Ti pensavo immortale, con quella tua faccia da eterno ragazzo, seppure ormai segnata da rughe. Con quel tuo spirito da giovane per sempre, e poeta raffinato, colto. Battuta facile, verso affilato come una lama. Uomo che riusciva a stupire, che quando tiravi fuori da chissà dove le tue battute, storcevi un po’ la bocca, la lasciavi quasi aperta perché sembrava che il primo a stupirsi di quello che dicevi fossi tu. Il primo a stupirti e a divertirti. Uomo arguto, fiero della tua povertà, mai barattata per un lavoro e rivendicata contro la legge Bacchelli, accettata solo ora, dopo che eri stato colpito dall’ictus. Una “povertà da re”, come dicevi, che gli altri, quelli che non ti conoscevano bene, facevano fatica a credere vera, che il poeta laureato, premiato e pubblicato, che andava pure in tv, conteso dalle gran dame, vivesse realmente in una baracca, dormendo su una branda, di inverno con tante coperte da due lire una sopra l’altra. 
Valentino impeccabile ed esigente, gran cuoco, con quel tuo accento che romano non è mai stato fino in fondo, anche se ti piaceva un sacco fare il romano. 
Valentino frugale per necessità ma elegante, negli abiti e nelle abitudini. Ormai tanti anni fa, era il 2003, rimasi colpita (senza dirtelo) nell’apprendere che avevi un cellulare: «Dobbiamo fa ‘sta cosa? Non ti preoccupare, sarò lì, all’ora che mi dici. Basta che me lo confermi al cellulare, prenditi il numero» . Cellulare? Valentino ha un cellulare? Lui contro i consumi e senza una lira?
Ma non te lo chiesi, feci come mi avevi detto, ti chiamai e due giorni dopo, di mattina presto, ti trovai sul ponte Duca D’Aosta per iniziare le riprese di un mio strano programma sulla felicità. Quella era la puntata sull’amore. Saremmo saliti su un battello che navigava sul Tevere e a ogni fermata sarebbe salito qualcuno, avevo preso l’idea da un bellissimo film di Manuel de Oliveira. Ma tu, molto più di me, fosti il cerimoniere de “’sta cosa”. Tu, molto più di me, sapevi parlare dell’amore con leggerezza e una densità da brivido. I primi dieci minuti eravamo soli e penso siano stati uno degli scambi di parole più fulminanti che abbia mai avuto in vita mia. 
Nessun copione, tu lo aborrivi e io pure, e poi mi fidavo di te. «Sono un attore, ho i tempi cinematografici dentro, siamo attori, figurati a che ci serve un copione». E quando salì la seconda ospite, la scrittrice Sandra Petrignani, l’apostrofasti: «Sandrine, ma che ci facciamo qui sul Tevere, andiamo ad Hollywood!». Divertito, contento di quella bizzarria che stavamo facendo, ma che prendesti con la massima serietà.
Dopo quella storia, per tutti questi anni, quando ci incontravamo, mi chiamavi: «A forte! Te sì che sei forte! ». Valentino, Valentino, io soprattutto ti ero grata per quel dono di quel giorno, dove tu fosti fortissimo. Insuperabile. Tanto grande da mettermi in imbarazzo, nonostante la tua solita gentilezza. Ma la grandezza a volte mette a disagio, non sai bene come e dove metterla, vorresti complimentarti, ma sembra quasi meschino farlo. 
E poi la tua poesia, breve e acuta come te, gemmata e a sua modo elegantemente forbita come è il tuo pensiero. Un piacere ascoltarti. A parte i fugaci saluti, la mattina a piazza del Popolo, tu e Luigi Ontani beatamente seduti da Rosati, io che vi salutavo con la mano di corsa, sempre in ritardo per raggiungere l’Accademia di Belle Arti, l’ultima volta che ti ho ascoltato sul serio è stata una sera, quest’inverno, in un ristorante. Io ero a cena con un’amica e vidi Valerio Magrelli, vecchio amico, ci salutammo. Poi, io e la mia amica continuavamo a sentire provenire grandi risate dall’altra sala. Mi alzai per vedere con chi se la spassava Valerio e ti trovammo, te e il tuo editore Fazi più tanti altri. Una tavolata per festeggiare l’uscita del tuo romanzo La Sumera. Ci sedemmo con voi. Continuò lo squisito ping pong tra te e Valerio: musica e letteratura. Poesia, niente.  Grandissimi! Peccato non avervi stanato prima.
È stata l’ultima volta che ti ho visto. Ti ricordo così. Felice di quel libro, contento degli amici, del vino e del cibo insieme, consapevole di essere unico, come scrive oggi Valerio. 
Ciao Valentino, sorprenditi, sorprendici ancora. 

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