08 luglio 2016

Hema e le altre

 

di

Hema Upadhyay era un’artista indiana che era riuscita a farsi apprezzare fuori dal suo Paese. Aveva esposto molto all’estero e anche da noi, alla galleria Studio La Citta di Verona e poi all’HangarBicocca e al Macro, nel 2009, dove aveva presentato una potente installazione, una montagna di piccole casette, ricavate da latta di risulta e fatte a mano da lei, una ad una. E poi nel 2015 aveva esposto alla Biennale di Venezia.    
Era una donna solare, Hema e, come si usa dire, affermata. Una che ce l’aveva fatta, riscattando le origini di figlia di migranti dal Pakistan. 
Forse questa cosa non era andata giù a suo marito, Chintan Upadhyay, anche lui artista, ma di minore successo, al momento ancora in carcere con l’accusa di averla uccisa e in attesa di processo. Forse la sua storia ricorda, anche se non le somiglia, la fine tragica di Ana Mendieta, volata chissà come dalla finestra di casa sua da un grattacielo di Manhattan, con il marito, anche lui artista, Carl Andre, in casa e che, quando fu ritrovato il cadavere di Ana, aveva segni di colluttazione sul corpo. Forse la storia di Hema somiglia troppo a quella di altre donne che da un giorno all’altro finiscono ammazzate, fatte anche a pezzi, come è successo a lei l’11 dicembre scorso, e gettate in un canale, come è successo a molte donne.
Per non abbassare la guardia e per non dimenticare Hema, ieri il Macro di Roma le ha dedicato una serata.    

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