31 luglio 2016

E l’artista reinventa la città

 
È il caso di Marfa, in Texas. Che da città fantasma è diventata un’incredibile oasi d’arte. Tutto perché Donald Judd…

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“Questo posto è perfetto per le installazioni artistiche, necessario per le mie architetture che possono ben  dialogare con quelle  preesistenti, adatto al modo in cui lavoro  e corrisponde in pieno al mio stile di vita”. Chi è che parla? Donald Judd, nel 1985. Il più scorbutico e uno dei più geniali protagonisti del Minimalismo, che a Marfa (perché di questo luogo che si tratta) ha creato un mondo. Che ora vi presentiamo. 
A 200 miglia ad ovest di El Paso, nel mezzo del deserto Chihuahua, sorge Marfa, piccola città divenuta un grande centro d’arte grazie a Donal Judd (1928, Missouri – 1994, New York City). Da città sconosciuta ed abbandonata dai primi del secolo scorso, Marfa è stata riscoperta e posta  sotto i riflettori del sistema internazionale dell’arte quando Judd, stanco della vita newyorkese e spinto da un impellente bisogno di grandi spazi desertici ove poter porre le sue installazioni, vi si trasferisce all’inizio degli anni ’70. Oggi Marfa, secondo una indagine recentemente svolta dal Los Angeles Times, è tra i 10 luoghi che si devono visitare e non solo per l’arte. Sono infatti numerosi i giovani artisti, galleristi, scrittori e musicisti che sulla scia di quanto realizzato da Donald Judd in questa città, l’hanno eletta a loro luogo dove vivere.
Quando Judd decise di stabilirsi a Marfa, anche con l’aiuto della DIA Art Foundation di NY, comprò prima degli edifici al centro della città, all’epoca a buon mercato in quanto Marfa era semi abbandonata e poi col tempo e unendo le forze della sua Fondazione con quelle della Chinati Foundation – anch’essa fondata da Judd per reperire fondi su scala internazionale – ha acquistato altri immobili. Tra questi figurano due ranch e la base militare in disuso di Fort D. A. Russell con i suoi 32 padiglioni e caserme su un’area di più di 400 acri.
Donald Judd, Marfa
Ogni edificio è stato restaurato da Judd, con l’aiuto di un gruppo di esperti trasferitisi con lui a Marfa, avendo la massima cura ed attenzione alle strutture originali e dotandolo tra l’altro di infissi che ne assicurano la perfetta conservazione nel tempo in situazioni atmosferiche difficili quali quelle del deserto.
Prima della sua morte nel padiglione dell’artiglieria della Army base, l’artista ha posto le sue 100 sculture in alluminio trattato e riflettente, parallelepipedi tutti con le stesse misure esterne (104x129x180 cm), ma tutti diversi l’uno dall’altro internamente. L’effetto di queste boxes poste in questi immensi spazi ha una sua sacralità e ci fa capire quanto fosse importante per Judd poter esporre i suoi lavori in spazi come questi.
All’esterno, stando attenti ai serpenti, alle puzzole ed ai porcospini, si cammina tra le 15 sculture in cemento anch’esse dei parallelepipedi, tutti delle stesse misure esterne (2.5×2.5×5 metri) e con lo stesso spessore di 25 cm.
Alcuni padiglioni della base militare accolgono opere di artisti che negli anni sono stati ospiti di Judd a Marfa: Carl Andre, Ingòlfur Arnarson, Roni Horn, Iliya Kabakov, Richard Long, Claes Oldenburg. Un’attenzione  particolare Judd l’ha riservata al suo caro amico Dan Flavin, le cui installazioni luminose hanno trovato  perfetta collocazione nei numerosi ex-dormitori dei soldati.
John Chamberlain, Marfa
Molti degli edifici nel centro della città rivestono ora interesse artistico ed architettonico, vi sono conservate le collezioni di Judd, i suoi quadri, le sue sculture, le installazioni, mobili ed oggetti di design. È possibile visitare il suo studio, le biblioteche, i laboratori dove lavorava e dove incontrava ed intratteneva i suoi ospiti organizzando cene e feste. Un altro suo grande amico, John Chamberlain, ha potuto esporre in modo permanente le sue compressioni in un vasto padiglione a lui interamente dedicato.
Ma il vero miracolo che ha compiuto Donald Judd, e che continua a compiere anche dopo anni dalla sua morte, è quello di aver reso Marfa una città laboratorio permanente di cultura, in continuo sviluppo, dove è stimolante vivere. Ancora oggi se si va a bere una birra al Lost Horse Saloon, la si beve insieme al cow boy che ha appena finito di accudire la mandria, al gallerista che fino a ieri era a Chelsea (NYC), ed al giovane artista europeo che ha trovato qui il posto ideale per la sua ispirazione. Questo mix di culture e la sua location rendono questa città veramente unica.
E se lasciando Marfa andate verso ovest, fermatevi per vedere le vetrine della boutique di Prada realizzata in pieno deserto nel 2005 da duo scandinavo Michael Elmgreen e Ingar Dragset. Ne vale veramente la pena.
 
Pierluigi Sacconi

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