01 settembre 2016

READING ROOM

 
Il gioco dell’arte tra papà e figlia
di Elena Giulia Rossi

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Raccontare l’arte in maniera imparziale è un’impresa complicata, per non dire impossibile. Il compito diventa ancora più arduo quando l’arte coincide con la vita. Questo è vero tanto per i critici quanto per chi si trova all’altro capo del filo, ovvero chi dell’opera/vita ne è parte integrante. Agata Boetti ha affrontato questa impresa, affatto facile, e ha raccontato l’opera di suo papà Alighiero (1940 – 1994), artista concettuale fuori da ogni schema e protagonista eccentrico dell’Arte Povera negli anni sessanta –settanta. Nel ricordo di alcuni spaccati di vita familiare e nel racconto magico dello scambio di pensiero tra padre e figlia, si ritrovano radici e vita di gran parte dei suoi lavori. È “il racconto della simbiosi, della forza osmotica di un padre e sua figlia”, così lo descrive il grande critico e amico di famiglia Jean Christophe Amman nella prefazione al libro. 
Il gioco dell’arte viaggia sul piano emotivo, commuove, ci sospende in quello spazio interstiziale che esiste tra il mondo esterno e la mente; qui le esperienze di padre e figlia si incontrano, rimangono sospese, creano una bolla spazio-temporale dove la vita prende la forma dell’arte e conquista una vitalità che prosegue nell’esperienza degli altri. 
I toni del racconto recuperano tutta la magia dell’infanzia. L’amore tra padre e figlia si esprime concretamente nelle parole e nelle immagini selezionate che nel libro hanno un ruolo centrale, perché “il mondo di Boetti era fatto di immagini”. 
Alighiero Boetti, Agata 1975, Agata che s'incastra
Tanto commovente è il racconto quanto lo sono le intenzioni che destinano Il gioco dell’arte a funzionare da ‘memoria familiare’. A noi il ruolo di voyeurs, spettatori di scorci di vita nei momenti più intimi, compreso questo, “nato dalla necessità di trasmettere una parte importante della storia familiare attraverso la visione privata di un’opera che ormai appartiene al mondo intero e alla storia dell’arte”, così presenta Agata Boetti il libro nella seconda di copertina.
La consapevolezza del nostro ruolo non fa che aumentare la nostra predisposizione ad una certa commozione; il racconto si pone al di sopra delle cose e, mentre ci tiene incollati alla lettura, ci proietta all’interno dei ‘meccanismi del gioco boettiano’ con il carico affettivo della dimensione familiare, tutta, di cui era parte. Da qui parte il viaggio di Agata Boetti nel mondo del padre così come lei lo percepiva, con gli occhi e l’esperienza di bambina che magicamente le parole le restituiscono dal tempo. 
Agata Boetti ci racconta come la passione del padre per la vita, con le sue ossessioni per i numeri, per le regole, per i misteri del rapporto tra lo spazio e il tempo, per la dimensione del doppio e tanto altro, si trasformavano in magia e creatività non appena entrati nella danza del gioco, dove trovare mille verità, mille domande e curiosità, base di ricerche future. 
Alla formazione letteraria di papà Boetti sono dedicate alcune righe che, inquadrate nel racconto di Agata del dono del padre di alcuni tra i suoi libri più importanti e cari in punto di morte, imprimono a fuoco l’importanza dell’attività intellettiva, anche quando liberata nel momento del gioco e ci accompagnano per il resto della lettura.
Alighiero Boetti, Senza titolo (Agata), 1985 circa Agata che sale verso linfinito
“Altri libri che mi regalò durante gli ultimi mesi della sua vita  – così Agata Boetti entra nel vivo di questo momento intimo e delicato –  mi procurarono una strana sensazione di asse ereditario: mollare, per poi passarmi il testimone, e trasmettermi le chiavi del sapere e della conoscenza. C’era qualcosa di sacro in quest’atto. Quei libri sono le sue copie rovinate, usate, in apparenza maltrattate poiché veramente e totalmente amate. Rileggendoli oggi, mi appaiono con chiarezza alcuni fili conduttori del suo pensiero che costituiscono i presupposti delle sue opere”. A questo punto, l’autrice, che la genuinità delle parole e le fotografie dell’epoca per un momento ci avevano fatto immaginare bambina, appare ora nella sua veste matura. 
L’alternanza e il confondersi di immagini e testi, del doppio ruolo infantile e maturo di chi scrive, della dimensione pubblica e privata in cui si pone il libro, sembrano rivelarsi come regole di  gioco che proseguono, con naturalezza, l’attitudine di Alighiero Boetti ad un certo modo di pensare e di vedere il mondo. Potremmo essere stati noi lettori, talmente addentro al racconto, ad aver cercato e trovato delle regole di gioco, come padre e figlia le cercavano in ogni cosa della vita. Qualunque sia la verità, significa che, per un momento, siamo stati catturati nello spirito del ‘gioco dell’arte’, e di Alighiero Boetti. 
“Pensavamo di sapere tutti di Boetti – così conclude Hans Ulrich Obrist – la sua postfazione al libro – ma, con Il gioco dell’arte, sua figlia ci mostra ancora un altro aspetto di questo grande artista, padre e straordinario maestro di vita”. Nuove verità, emozioni e spunti emergono continuamente quando alla prima lettura ne segue un’altra, attirati dalla tentazione di ripercorrere il libro attraverso le immagini e le parole che le accompagnano.
Elena Giulia Rossi
Il gioco dell’arte. Con mio padre, Alighiero 
Autore: Agata Boetti
Editore: Electa
Anno di pubblicazione: 2016
Pagine: 285
Euro 24,90

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