11 settembre 2016

Tutta l’Italia è terra d’Egitto

 
Quanto c’è di quella antichissima civiltà nella nostra, che pure la sottomette? Molto. Lo ha raccontato, con opere e dovizia di particolari, una bella mostra a Torino

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Smembrato e ricomposto come il corpo di Osiride, il grande progetto espositivo sull’Egitto che ha visto coinvolte tre prestigiose sedi, si è appena concluso con la mostra “Il Nilo a Pompei. Visioni d’Egitto nel mondo romano” nel Museo Egizio di Torino. Sottolineando come una delle più grandi civiltà di tutti i tempi ha avuto delle pesanti ricadute artistiche e archeologiche in tutta Italia con l’intrecciarsi degli innesti e gli influssi culturali .
Il progetto espositivo, iniziato il 5 marzo con l’apertura a Torino di un nuovo spazio di 600 mq e l’allestimento di 250 pezzi (molti dalla Campania), tra affreschi, rilievi, mosaici, statue e arredi, ha accompagnato le imponenti presenze faraoniche delle quindici sale della collezione permanente, che da poco meno di un anno, sotto la direzione del giovane Christian Greco, si sono finalmente adeguate ai criteri espositivi internazionali. Dal 16 aprile inoltre, il progetto si è esteso ad ampio raggio fino a Sud: con Benevento, Catania e più di 100 reperti esposti nella Piramide allestita nell’Anfiteatro pompeiano. A partire dal 15 maggio infatti con le monumentali sculture di Mitoraj dentro gli scavi di Pompei si è suggellato il binomio tra classicismo archeologico e senso delle rovine dell’artista polacco. Accodandosi al progetto, la città di Catania ha offerto la sua area museale come sede per accogliere una parte della collezione egiziana di Torino.
Il Nilo a Pompei. Visioni d'Egitto nel mondo romano, vista della mostra
La presenza egiziana in Italia è immensa, a cominciare dagli obelischi di Roma, 17 (in totale tra antichi e moderni) più che in tutto l’Egitto! Le origini di questo accumularsi di antichità egizie in Italia risalgono al momento in cui con l’introduzione dei riti isiaci si votano Serapei e Isei in tutta la Penisola e a Roma in particolare. L’Egitto si è accostato alla storia italiana lungo tutti i secoli agendo come un potente e comune denominatore dei suoi costumi, delle tradizioni religiose e scelte artistico-culturali. Ma quanto davvero è stata ampia e profonda in Italia la sua ricezione? 
Ce lo ha rivelato, quasi come un romanzo a puntate, questo grandioso progetto, curato fin nel dettaglio a cominciare da Torino. Qui la mostra, allestita nelle splendide sale del Museo Egizio (rinnovato da meno di un anno), ha messo in evidenza attraverso felici accostamenti la stretta relazione esistente dei prestiti con la collezione permanente.
Tra opere torinesi e ospiti: sculture, rilievi o affreschi, gli ori dei bracciali intrecciati con testa di serpente, rari crateri o vasellame d’ogni tipo, tripodi, servizi da tavola (bellissimo quello di Moregine) e preziosissimi modelli come quello del tempio di Iside a Pompei proveniente da Capodimonte (il centrotavola preferito dei Borbone!), sono tante le declinazioni, le persistenze di gusto egittizzante, e il peso sulla nostra cultura. Ma altrettanti sono stati i tentativi di osteggiare una civiltà millenaria così amata e insieme invano rifiutata, dagli imperatori di Roma antica.
Il progetto ha messo a fuoco come questa antica civiltà abbia invaso e sedotto le città di tutta Italia, da nord a sud, da Benevento a Torino e influito sulle future civiltà, dall’Impero romano fino a quello napoleonico. Non si può infatti parlare esclusivamente di Aegypto capta: quando Cleopatra e Antonio vengono sconfitti, la vittoria ad Azio di Ottaviano mette la parola fine all’indipendenza dell’Egitto che da quel momento diventa una semplice provincia romana. Ma contemporaneamente Roma resterà avvinta dal seducente fascino di questa terra, già da quando la lussureggiante nave di Cleopatra approda lungo le rive del Tevere con i suoi profumi orientali e le preziose stoffe.
Il Nilo a Pompei. Visioni d'Egitto nel mondo romano, vista della mostra
A Torino si è svolto il racconto di questo affascinante viaggio in Oriente con l’esposizione di pezzi unici come il tripode pieghevole, un bronzo della II metà d.C., o attraverso i pigmenti (il cosiddetto blu egizio) da Pompei, la preziosa situla da Monaco, i sistri, l’alabastro di 42 cm del I sec. a.C., iscrizioni, canopi e tavolette: opere minime insieme ai grandi distacchi di affresco e reperti (molti da Benevento dove era presente un tempio isiaco) che arricchiscono il già vasto repertorio museale. Bellissimo il modello del tempio di Iside a Pompei. In pietre rare (alabastro, fiorito, cotognino erborizzato) e bronzo dorato proviene dalla Manifattura settecentesca romana. 
Il 700 e l’Egitto? Possibile? Può un’antichissima civiltà come quella egiziana protrarsi così a lungo nel tempo? Come si spiega infatti tutto questo proliferare in stile antico o egittizzante di piccoli oggetti, addirittura tripodi, console, armadietti in età moderna? Come può essere che la secolare civiltà del Nilo abbia mutato aspetto, passando dalle colossali architetture delle sue Piramidi ai minimi oggetti d’arredo per nobili dimore di ricchi proprietari ossessionati d’Egittomania? È successo per via della trasposizione nella vita quotidiana che, se anche appare lontanissima da quella monumentalità delle origini, si giustifica benissimo, perché dal ‘700 in poi gli spazi da decorare, gli interni borghesi, sono sempre più piccoli e non certo da paragonarsi per estensione a quelle che hanno visto nascere l’arte lungo il corso del Nilo. Le forme gigantesche e le grandi architetture diventano oggetti decorativi, le piramidi si tramutano in letti o tripodi. Quello che la mostra ha quindi messo in luce è la capacità di tramutarsi della cultura egiziana, il suo carattere minimal è la prova di come l’Egitto, malgrado la sua unicità, abbia invaso il nostro patrimonio visivo, adattandosi ai più differenti stili e periodi storici.
Quindi, nonostante fosse sotto i colpi di tre successivi attacchi: ellenismo tolemaico e poi romano, cristianesimo, e islam, l’antica civiltà faraonica, prima di affievolirsi e poi disperdersi, prima di estinguersi nei sui confini, si è propagata come modello culturale e religioso, e soprattutto artistico, ben oltre gli originari confini. La mostra non ha fatto altro che confermare questa tendenza, una sopravvivenza orientale verso un gusto che ancora caratterizza tutto il nostro Belpaese, da nord a sud.

Anna de Fazio Siciliano

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