14 settembre 2016

Arrivare al punto d’origine dello sguardo

 
È quanto avviene con la mostra di Robert Morris al Mart di Rovereto. Un’esperienza totale, non solo di arte. Soprattutto di percezione e configurazione essenziale delle immagini

di

È ormai settembre e l’aria fresca inizia a ridefinire i pensieri; ci toglie dalla bolla di immagini piene e umide e si intromette con decisione per delineare di nuovo i perimetri delle idee che, nel caldo delle giornate estive, erano spiaggiate in un tutto tondo. Qualcosa riappare, si infiltra fra le forme del mondo e i nostri corpi. Si torna a scandire il tempo e a fissare gli spazi nei quali verrà poi progettata la nostra attualità; prepareremo altre percezioni.
Si ristabilisce allora un certo contatto che riesuma il desiderio (nascosto, per carità!) di toccare con mano novelle intenzioni, fissando così gli intuiti autunnali. E mentre molti di noi erano sospesi in questa pausa, al Mart di Rovereto apriva “Robert Morris. Films and Videos” (fino al 6 novembre, a cura di Gianfranco Maraniello e Denis Isaia con Ryan Roa) un’antologica dedicata al poliedrico artista americano.
Nello stacco estivo era dunque già seminato lo spirito della ripresa; delicata, sottile e dal sapore ordinario. Ma non possiamo negare che in fondo questa annuale consuetudine ci stia trascinando dentro una sorta di sintonia; rieccoci con i piedi per terra. L’aderenza alle cose ci fa sentire pronti: qui inizia la mostra.
Robert Morris, Gas Station, 2005, still da video Courtesy the artist and Sonnabend Collection Foundation
Slow motion (1969) è la prima opera che incontriamo. La sua trama è articolata attorno ad un corpo nudo che si preme contro una porta di vetro e l’atto è così certo e visibile da trasformarsi paradossalmente nella possibilità dell’astrazione. L’opera ci mette di fronte al senso materiale del contatto, alla consuetudine della presenza interrogandoci sulla trasparenza e sui confini nel corpo. Ci spinge sino all’epidermide di ciò che è comprensibile e ci scorta fino al momento in cui ci sentiremo praticamente disorientati. Passo dopo passo, l’esposizione prosegue configurandosi come un andamento per immagini, diverrà il tracciato di una sequenza precisa, dove il gesto riesce a mostrarsi centrato nella sua concretezza e sarà capace di pronunciarsi essenziale grazie alla complicità dello sguardo. I video segnano l’inizio di una pratica disposta a metterci a contatto con la struttura intrinseca delle cose facendoci pensare ai confini della nostra stessa pelle. Come si legge in un testo dell’artista riportato nella brochure che accompagna le opere: “È tempo di schiacciarci addosso alle cose, premerle qua e là, strisciarci sopra, non tanto per un impulso bambinesco a tornare nella stanza dei giochi, ma per riconoscere che il mondo inizia là dove finisce la pelle”.  
Dopo essere passati fra le sale non sarete più così sicuri di aver visto solo video e film, ma vi sembrerà piuttosto di essere arrivati a contatto con qualcosa di profondo; sarete stati condotti all’interno delle immagini. Nelle stanze al secondo piano del Mart vedrete anche oggetti-scultura, installazioni sonore e fotografie. Potete passare fra le reti di un labirinto dal quale è possibile osservare ciò che succede fuori o, se non entrerete, ci potrete comunque guardare dentro. Varcherete le soglie di un attraversamento e vedrete parecchie prospettive includersi nel riflesso di alcuni specchi fissati in alto.
Robert Morris, Neo Classic, 1971, still da video Courtesy the artist and Sonnabend Collection Foundation

Sarà un’esperienza, una percezione. I tempi e le visuali nelle opere di Morris ci spingono verso lo spettro delle attitudini, conducendoci scrupolosamente all’ossatura dei movimenti. Come nella scultura, l’artista americano sagoma la materia, la definisce per mezzo di azioni e visioni e la impronta verso una parvenza tridimensionale. Ci faremo trascinare e toccheremo con mano le tracce di ogni azione registrata. Tutto sembrerà così lineare da perderci la testa. Saremo condotti al punto di origine dello sguardo, fra i termini e le condizioni della natura più primordiale di ciascuna figura riportata. 
In opere come Waterman switch (1965/1993) e Waterman switch revisited (1965/1993) scorgeremo le traiettorie delle mosse e rintracceremo l’origine precisa di ogni singolo spostamento; percepiremo la differenza tra gli spazi e, nella visualizzazione dei movimenti riusciremo, finalmente, ad avere misura del corpo.
Allora capiremo che un film può essere la materia, quella sostanza organica capace di essere modellata nella sua interezza. Robert Morris riesce a plasmare il digitale trovando quel punto di vista tipico della superficie tridimensionale. Riesce ad introdurlo nelle riprese richiamando la scena verso la configurazione essenziale di ogni singola azione, convocando gli elementi sulla traccia di uno svolgimento preciso. Decostruendo un’immagine, si rende in pratica aperta la possibilità di poterla penetrare.
Robert Morris, Slow Motion, 1969, still da video Courtesy the artist and Sonnabend Collection Foundation
Gas station (1969) allarga poi ulteriormente le possibilità della visione. Un’inquadratura che si posa con tranquillità sullo scorrere della vita quotidiana va a dispiegare il tempo e, nel togliersi da un sistema narrativo, apre all’osservazione. Nel film, suddiviso in due registrazioni, si ha l’accesso a due punti di vista: quello fisso, registrato da una telecamera stabile dove lo spettatore decide cosa guardare e quello mobile, nel quale compaiono i dettagli scelti dall’artista e catturati per mezzo dello zoom. Saremo noi a decidere. 
C’è un lato performativo in tutto questo. Le traiettorie delle proiezioni sono così specifiche che, percorrendo la sala, sembrerà di far parte di esse. Si provano le misure di un altro mondo, sia esso esterno o interno. Non siamo noi girare intorno a queste sculture digitali; è la scultura stessa che, per mezzo di primi piani, vocazioni e cadenze persistenti entra dentro di noi e installerà il ritmo di fresche inclinazioni. A noi spettatori non resta che metterci in piedi davanti ad uno dei film in mostra e, con attenzione, iniziare a sentirne il ritmo, per immergerci così nelle nostre nuove predisposizioni.
Cinzia Pistoia

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui