21 ottobre 2016

Il tappeto come “mezzo” vitale per l’evoluzione dell’arte. A Cleveland una mostra sui generis, con Alighiero Boetti, Stefano Arienti, Maurizio Cattelan e Flavio Favelli

 

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Oggetto, concetto e decorazione. A tutte queste identità si rifà il tappeto nell’arte contemporanea, uno dei “medium” che da secoli sono stati realizzati e hanno vissuto un poco ai margini della storia dell’arte. Ora il MOCA di Cleveland, in Ohio, festeggia e riscatta il genere con una mostra particolare, a cura di Cornelia Lauf, e intitolata “Wall to Wall: Carpets by Artists”.
E al contrario delle mostre che esaminano i tappeti d’artista attraverso una visione etnografica separata dal mondo dell’arte, la riflessione di “Wall to Wall” propone l’idea che i tappeti d’artista funzionino come una continuazione della moderna storia dell’arte, come forma critica che sta trovando sempre più usi e applicazioni. La mostra si chiede proprio perché accade questo.
Provano a raccontarlo le opere di Pierre Bismuth, i cui lavori si riferiscono alle tradizioni matematiche ed architettoniche, con Sarah Morris che integra una griglia urbana nella superfice intessuta del tappeto, mentre Polly Apfelbaum enfatizza la comune funzione del tappeto come qualcosa su cui camminare.
Una mostra che indaga anche il campo della produzione e della delega, e dunque in qualche modo la solita vicenda della “paternità” dell’opera, rivelando la confusione delle divisioni tradizionali tra arte, artigianato, design. E oltre ai citati, insieme a Mircea Cantor, Ilya and Emilia Kabakov, Jonathan Monk (sopra), Nedko Solakov, Rosemarie Trockel, Franz West, Christopher Wool, Heimo Zobernig, solo per citarne alcuni, ci sono anche i nostri Alighiero Boetti, Stefano Arienti, Maurizio Cattelan e Flavio Favelli. Tutti a raccontare usando “il basso” di uno degli oggetti più affascinanti della contemporaneità.

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