06 novembre 2016

Instagram cambia l’arte

 
Può un social media influire sui trend dell'arte contemporanea, e anche del suo mercato? Storia di Instagram, che secondo una nuova analisi di Artnet potrebbe davvero cambiare le carte in tavola

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Collezionisti come Leonardo DiCaprio hanno acquistato opere che hanno visto la prima volta su Instagram; la CEO di Christie’s Brett Gorvy utilizza l’app delle fotografie per mostrare i nuovi lotti; gli artisti mostrano le loro opere, tagliando fuori l’intermediazione della galleria d’arte.
Secondo Artnet, che ancora una volta regala una gustosa pillola, se il mercato dell’arte iniziasse a funzionare come qualche marchio di abbigliamento – vedi Kate Spade, J. Crew o Warby Parker – che hanno una funzione per visualizzare il prezzo sui prodotti mostrati in fotografia, un vero e proprio segmento del mercato (e non) potrebbe cambiare.
E diventare, ancora ipoteticamente, ma forse nemmeno troppo, un commercio al dettaglio via web. Era già accaduto, in realtà, per quello che era stato il progetto della VIP Art Fair di qualche anno fa, poi terminato.
«Il modo che ha Instagram di cambiare il mondo dell’arte, è in realtà sottostimato», dichiarano dalla newyorchese Feuer/Mesler: «Nel caso dell’attuale mostra di Loie Hollowell, quasi ogni persona che arriva, compresi i collezionisti, dicono di averla vista su Instagram: davvero questa è la prima cosa che dicono».
E va bene che poi vedere le cose dal vivo ha un altro gusto, va bene che incontrarsi in fiera – e lo sappiamo, proprio ieri che è finita Artissima – è anche un rituale, e d’accordo che forse questo nuovo metodo (se arrivasse all’art world) forse funzionerebbe per opere un po’ a basso costo. Perché ragionando freddamente viene da chiedersi chi diavolo si sognerebbe di prendere un quadro del valore di qualche milione di euro facendo “tap” sullo schermo dello smartphone? 
Eppure la pulce nell’orecchio c’è.
«Non credo che questo modo di comprare sia applicabile all’arte – riporta ancora Artnet dal collezionista Stefan Simchowitz – Potrebbe essere un buon modo per vendere stampe e manifesti». Ma allora, perché anche non fotografie, visto che siamo sul social d’eccellenza? Chissà che il prossimo nemico giurato dei galleristi non diventi proprio questo vettore per la diffusione delle immagini delle opere. (MB)

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