19 novembre 2016

Da Matera alla Biennale, per indagare “non-abitanti”, fallimenti del progetto e possibilità di intervento. Breve intervista ad “Architecture of Shame”

 

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Ultima settimana di Biennale Architettura, e in una settimana potrete scoprire una “Indagine sui non-abitanti”. In collaborazione con il Padiglione della Grecia il collettivo-progetto AoS (Architecture of Shame), da lunedì a domenica 27 realizzerà un programma di incontri, esposizioni ed interventi per raccontare la condizione degli “espropriati moderni”, mettendo in relazione l’esperienza di Campo di Marte alla Giudecca (quando il Comune di Venezia con l’ATER, decisero di realizzare un nuovo complesso di case popolari scegliendo di trasferire gli abitanti al Lido e Burano), così come accadde a Matera, dove gli abitanti dei Sassi furono spostati verso l’architettura moderna. Un progetto, quello di AoS, che vedrà la sua conclusione proprio nel 2019 nella città lucana. A Venezia, invece, per una settimana “Space as Commons” e “Urban Crisis”, ovvero i temi del Padiglione Greco, saranno portati in giro per la città dal collettivo, per poi tornare ai Giardini il giorno di chiusura. Ma chi sono i “non-abitanti”, e quali sono le relazioni tra architettura e vergogna? Ci risponde Fabio Ciaravella, fondatore di Architecture of Shame.
Solo pochi giorni fa, in un simposio al MAXXI, si è parlato di antico e contemporaneo nell’arte, ovvero di come rovine, archeologia e “vecchie architetture” molto spesso, anziché essere rese vive dalle produzioni di oggi, siano usate come pura scenografia, come fondale. In architettura forse le cose stanno un po’ diversamente, ma questa relazione intercorre forse anche nel rapporto tra gli abitanti dei Sassi di Matera presi e messi in nuovi edifici, abbandonando un tesoro culturale.
«Quello che è successo a Matera va letto con il filtro della storia. Nel tempo, in modo particolare dagli anni ’50 ad oggi, è cambiato il modo di vedere il rapporto con il patrimonio culturale. La valorizzazione dei centri storici è un’idea relativamente recente su cui l’Italia ha qualche difficoltà a trovare un equilibrio. Prima il passato poteva essere negato, com’è accaduto ai Sassi con le leggi speciali del ’52, a favore di un’esaltazione della modernità, oggi all’opposto viene musealizzato  facendolo diventare soggetto muto. Matera che da vergogna d’Italia è diventata patrimonio dell’Umanità e sarà capitale della cultura europea, è uno dei luoghi più significativi dove leggere questi cambiamenti d’impostazione culturale attraverso un’analisi dell’architettura. Matera corre un rischio, ma è allo stesso tempo di nuovo “la città laboratorio” dove l’equilibrio tra valorizzazione e musealizzazione può trovare una terza via».
Chi sono i “non-abitanti” oggi? Intendo, oltre agli esempi di Matera e Venezia, è una categoria che si riconduce anche ad altre realtà meno “estreme”, in luoghi insospettabili?
«Certo, essere “non- qualcosa” significa essere sospesi, appartenere ed essere distanti, affermare e negare. Oggi è una condizione profonda dl nostro tempo, trasversale nel tempo e nelle geografie. Questo vale per situazioni profonde e tragiche come per i migranti ad esempio, oppure per la gente costretta nelle abitazioni provvisorie dopo i terremoti, ma sono “non” anche le persone che vivono temporaneamente nei luoghi, che viaggiano sempre, che non trovano un lavoro. Questa condizione è la cartina di tornasole di alcune situazioni politiche, sociali, economiche profonde. Forse può essere un modo per capire alcuni nodi problematici che non riusciamo più a comprendere  attraverso le categorie cui siamo abituati».
“Architecture of shame” è il titolo che racchiude tutto il vostro progetto. Vi faccio una domanda forse retorica: l’architettura della vergogna nasce come tale, da chi la propone, o ci diventa? Penso ad altri esempi, come Corviale a Roma: progetti talmente futuribili da poter essere iscritti solo in una sorta di “società perfetta”, e non propinati a chi invece è già in difficoltà. Perché l’architettura, spesso pensata come ancora di salvezza, si trasforma in un boomerang? 
«In realtà sono due domande. La risposta alla prima è che l’architettura nasce quasi sempre con uno spirito di servizio quindi direi non nasce vergognosa, ma “ci diventa” al variare o allo smascherarsi di alcuni presupposti che tradiscono questo mandato nobile della disciplina. Come tutte le cose, e rispondo alla seconda domanda, quando esprime convinzioni molto forti, a volta anche ideologiche, o trova grandi successi (e questo non è impossibile) o grandi fallimenti. Successo e fallimento lo sono rispetto ad alcuni riferimenti. Una volta l’architettura da sola pensava di interpretare e sintetizzare tutte le discipline nella migliore soluzione, l’architettura era “la soluzione”, oggi questa idea è stata ridimensionata, anche grazie a certi fallimenti, e ad esempio pensiamo all’interdisciplinarietà come una delle prospettive per risolvere l’ambizione nobile della disciplina. Anche questa potrebbe essere un’ideologia ed è nostra intenzione metterla in crisi».

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