28 novembre 2016

Buon vivere italiano? Manco per niente!

 
La penisola è un buon posto per vivere, ci dicono spesso dall'estero e ce lo raccontiamo anche noi. Poi le statistiche, le indagini e le ricerche, smentiscono. Spaccando il Paese ancora in due.

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Si tratta di un bello specchio dell’Italia, anche se si tratta sempre di una ricerca che – ovviamente – non può tenere conto di singoli casi umani, o di realtà troppo piccole. Eppure ItaliaOggi e La Sapienza di Roma tratteggiano un ritratto poco incoraggiante per la penisola, specialmente per i suoi abitanti, che per più della metà (siamo intorno 54 per cento) vivono in luoghi che hanno ben poco dell’allegro. O del buon vivere, appunto. 
Il grande lavoro statistico, che indaga le dimensioni di affari e lavoro, ambiente, criminalità, disagio sociale e personale, in rapporto a numero di popolazione, servizi finanziari e scolastici, sistema salute, tempo libero e tenore di vita, con il bel numero di 84 indicatori di base, designa che in 56 province su 110 si vive accettabilmente, ma che molte sono nel baratro. E la frattura tra Nord e Sud resta, ancora, una ferita ben più che aperta. Mantova, piccolo gioiello lombardo e Capitale della Cultura 2016 (sarà un caso?) è al primo posto, mentre la maglia nera va a Crotone, città calabra che in questi anni spesso è risultata agli ultimi posti in molte classifiche, che va bene per quanto riguarda la discesa della criminalità ma non è classificabile in fatto di servizi al cittadino, alla salute, al tempo libero. 
E poi ci sono una serie di “bad performance” di città che non dovrebbero mostrarsi tali, ma che invece per un motivo o per l’altro finiscono a tappeto: Roma, per esempio. La qualità della vita, nella Capitale e nella sua provincia, è classificata come insufficiente, così come la situazione – disastrosa – dei mezzi pubblici. 88esimo posto in classifica. Ma anche Milano, osannata dall’Expo e da una riscoperta turistica, finisce al 56esimo posto. Napoli? Stabilmente in coda: terzultimo posto.  
I fattori determinanti? Secondo l’indagine, alla sua 18esima edizione, l’economia e – in alcune aree – la deindustrializzazione e la ristrutturazione produttiva in atto, e i problemi strutturali e irrisolti che determinano il perdurante peggioramento della qualità della vita nel Mezzogiorno, mentre si sale con la maggiore capacità di “resilienza” nel Nord. Forse, da queste parti, anche grazie a “strutture” che da altrove sono ancora, anzi sarebbero, rivoluzione. (MB)

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