09 dicembre 2016

Il sogno della montagna

 
Pubblichiamo un estratto del libro Nei cieli della Mente, prima opera letteraria dell’artista abruzzese

di

Sotto l’esperienza del sogno, Di Fabio immagina di entrare in contatto con un’entità alta paragonabile alla Montagna, che lui ama e ripropone nella sua ricerca, al fine di dare un senso alla sua spinta del fare arte e ricerca.
I piccoli capitoli (Corpo astrale, La montagna, Cristallo di terra, Vortici di memoria, L’isola) idi cui si compone il racconto rappresentano le tappe di un viaggio intimo in cui l’artista, fra sogno e realtà e immerso nella natura e racconta l’origine di una gestualità che è tipica del suo dipingere. Anzitutto il contatto con la montagna, profilo che sempre ritorna nelle sue opere.
Nei cieli della Mente (Di Felice Edizioni), è a cura di Mattia Andrès Lombardo con la prefazione di Alessandra Angelucci. Sabato 10 dicembre alle ore 17.30 sarà presentato presso lo studio dell’artista a via Montecuccoli 11/C, Roma
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Fu quando sentii uno spiffero gelido vicino alla gola, che finalmente alzai lo sguardo e la vidi. La mia montagna, la mia rampa di lancio verso quel gigantesco mantello blu. Sistemai la sciarpa attorno al collo per non essere più infastidito dal vento e la osservai per un tempo imprecisato. Il cielo era di un grigio simile al colore della roccia ed emanava una luce piatta e opaca su tutto ciò che riuscivo a guardare. Il suo profilo sembrava una linea poggiata su un foglio bianco, sporco di grafite. Le mie sensazioni erano contrastanti: uno spettacolo esaltante e surreale, eppure un po’ inquietante e distante. Come avrei potuto scalare un disegno? 
Era pomeriggio, non m’incamminai oltre, era come se la montagna si fosse mimetizzata per non farsi trovare. Cercai della legna per accendere un fuoco che mi avrebbe fatto compagnia durante il pasto frugale. Troppa umidità, probabilmente sarebbe scesa la pioggia. Riscaldai dell’acqua per un’infusione. Avrei osservato quel maestoso profilo fino al consumarsi della fiamma. Avevo ancora del tempo a disposizione: il crepuscolo, preludio al silenzio notturno, quella luce accarezzava i contorni della vista. Una luce blu e viola, fredda, ma in cui gli ultimi bagliori del sole, seppur scomparsi, rimanevano presenti all’interno dell’animo, suggerendo che la notte non sarebbe stata infinita. Il ricordo della luce era forse più importante di qualsiasi bagliore. Uno sfondo plastico in cui il profilo della montagna si stagliava argenteo come un infinito altare di quarzo, infondendo in me una fede reverenziale verso quella magnifica altura.
Non è la prima volta che ti guardo. Perché lo faccio? Ogni volta provo ad avere un rapporto differente con te, ma com’è possibile avere un legame con qualcosa di inanimato? Il rapporto non è per definizione un’interazione tra uomini o comunque tra esseri viventi? Forse non dovrei pensarla così.
La mia non è una semplice ricerca di purezza e pace, ma qualcosa che riguarda la volontà di decifrare le leggi dell’universo.
Finalmente scese un silenzio siderale.
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C’era ancora un po’ di legna che ardeva; presi il pennino, il quaderno e la boccetta con la china rossa. Sul foglio tracciai il profilo spettrale che ancora riuscivo a distinguere. Presi la tazza che conteneva un po’ dell’infusione alle erbe: era fredda… ci intinsi il pennino grondante cremisi. Utilizzai l’acqua della tisana per sfumare la sottile linea rossa appena schizzata e feci scorrere le gocce verso il basso, in modo tale da far sembrare che la montagna stesse piangendo lava. 
Il falò si era completamente spento, andai a dormire. 
Mi alzai all’alba dopo un sonno sereno e denso di sogni che non riuscivo a mettere a fuoco. Non ci pensai troppo. Feci colazione con un po’ di frutta, ma il disegno non era ancora asciutto: realizzai due piccoli buchi negli angoli superiori e vi infilai dello spago per creare una collana che avrei indossato, finché la china non si fosse seccata del tutto. Inconsciamente, avevo dato vita a un talismano. 
Percorsi speditamente il lembo di terra che mi separava dall’inizio della mia scalata. Il contrasto di sensazioni che avevo provato il giorno prima aveva lasciato posto a un’ammirazione incontrastata per la roccia più pura. Ero pervaso da quel senso di naturale felicità che la semplice vista della montagna, e di questa in particolare, aveva sempre suscitato nel mio animo. Così, in un tempo brevissimo, giunsi alle pendici ancora boscose.
Incominciai la mia elevazione fisica, simbolica e spirituale dal mondo terreno, inerpicandomi per il sentiero più ripido che conoscevo. Non c’è nessun particolare che riesca a ricordare con sufficiente dettaglio, se non la sensazione di avere una percezione più recettiva del solito. Come in un sogno, energia, materia, vita, ma ancora di più tempo e spazio, non erano costanti ma indefiniti, non associabili alla mia normale natura. 
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Giunsi sul punto più alto e c’era ancora della luce, quella strana opaca luce del giorno prima. Si mise a piovere, e l’odore dell’acqua si unì alla fatica e alla mancanza di fiato. Guardai il paesaggio e mi lasciai bagnare, come se la pioggia avesse il dovere di levarmi di dosso i miei peccati. L’acqua scese copiosa sul disegno a china che avevo appeso a collo. Presi in mano il talismano e guardai affascinato la metamorfosi che la montagna stava subendo, il colore rosso che si diluiva con l’acqua per poi colare sul terreno come una linfa divina che dall’alto dona nuova vita alla terra. La dea esige un tributo di sangue per continuare ad alimentare la vita che deve sostenere.   
Chiusi gli occhi e, senza apparente significato, portai al volto il disegno ormai umido e gocciolante. Respirai profondamente l’inchiostro diluito con acqua, sudore e terra, finché non ne distinsi separatamente il sapore. Mi trovai a fluttuare in direzione dello spazio cosmico con una velocità tale che non era possibile descrivere: un pallido tentativo di fissare qualche vaga sensazione provata in quel momento. Ciò che vedevo apparteneva senza dubbio a una bellezza suprema. Ero avvolto dalla più totale oscurità e allo stesso tempo distinguevo la luce degli astri, scorgevo vedute di galassie infinitamente distanti e, senza rendermene conto, mi trovavo ad attraversarle e a inghiottirle. Oltrepassavo da una parte all’altra stelle di qualsiasi dimensione, creavo e distruggevo vita come se fosse la cosa più naturale che potessi fare. Caldo e freddo erano sensazioni che non mi appartenevano, di cui ricordavo a fatica solamente il disagio che provavo nella mia impossibile e antica vita umana. Avevo la chiave per comprendere le trasformazioni della materia che esiste al di fuori del pianeta in cui continuavo a vivere, trasformazioni che solamente ora, cercando di ricordare, mi appaiono incredibili. 
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Ancora un battito di ciglia, e mi trovai ancora a svettare sul picco della montagna. Ciò che avevo provato corrispondeva ad un semplice e singolo respiro terreno. Guardai in basso, verso il dirupo che avevo sotto i piedi. Riuscii a distinguere nettamente la striatura arancione di una piccola roccia. Era lontana, ai piedi della valle. Precipitai con la medesima velocità con cui un attimo prima mi ero innalzato verso la vastità dell’universo. In quell’istante provai paura, pensai davvero di cadere e morire al suolo. Non capii subito. Ero entrato, invece, per quanto impossibile possa sembrare, all’interno di quella microscopica venatura arancione. Mi muovevo dentro la composizione inorganica della piccola roccia, sapevo di potermi addentrare ancora più a fondo. Sempre con quell’eterea velocità, mi inoltrai nella struttura eterogenea molecolare e subatomica, riuscivo a controllare la propagazione di ogni singolo fotone, per quanto nella mia altra vita non avrei mai immaginato che ci fosse così tanta luce all’interno di un comune sasso, in una materia così densa. Avanzai talmente in profondità da scorgere universi che l’essere umano non riesce ancora a comprendere appieno.
I polmoni avevano esaurito l’aria esterna e la mia vista fu di nuovo orientata verso il paesaggio della vetta. Uno scenario che mi sembrò più facile da guardare, ma non meno misterioso. Di quello che fui in quel tempo imprecisato non mi rimase nulla, se non il ricordo e la sensazione di essere stato altro. La mia conoscenza rimase la stessa di prima, solo più turbata.
Durante la discesa, senza farci caso, mi chinai a raccogliere una piccola roccia. La misi in tasca.
Alberto Di Fabio

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