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A curarla è Sudarshan Shetty, e per la terza volta la Biennale di Kochi, in India, si conferma come il più grande evento di questo tipo nella regione Sud Est Asiatica.
108 giorni di mostra, da oggi al 29 marzo, con quasi cento artisti invitati a partecipare (97), su diversi spazi: pubblici, patrimoniali, gallerie e il grande Ernakulam, oltre che l’Aspinwall House.
«Ciò che si forma nella pupilla di un occhio non è l’immagine di una realtà, ma un riflesso di molteplici realtà e molteplici possibilità di tempo. Questa molteplicità di esperienze è visibie nella biennale di Kochi-Muziris, con le sue molteplici forme d’arte», sono state le parole di presentazione di Shetty.
In linea con la sua visione, questa edizione della Biennale tenta di mettere in discussione e sfumare i confini che classificano le varie discipline con l’architetto Tony Joseph che ha creato il padiglione della manifestazione, un’opera d’arte a sé, che ospita video e conferenze, e poi Alicja Kwade, il giapponese Aki Sasamoto, il fotografo Mansi Bhatt, e anche le “artistar” Ahmet Öğüt, Camille Norment, Latifa Echakhch, Paweł Althamer, Remen Chopra e l’italiano Daniele Galliano.
Inoltre, anche quest’anno, la Kochi Biennale Foundation (KBF), in collaborazione con Foundation for Indian Contemporary Art (FICA) e Foundation for Indian Art and Education (FIAE), ha sviluppato la sua “Students’ Biennale, esposizione parallela rispetto alla “main” biennale, realizzata da 15 giovani curatori, con un progetto senza confini che incoraggia i giovani artisti a riflettere sulle loro pratiche, con una serie di studio-visit, workshops, e interventi e la possibilità di far conoscere il proprio lavoro oltre l’area di Kochi. In nome di quel che succede in una pupilla.
In home page: Mansi Bhatt, dalla “A Suite.” Digital photograph on archival paper. Courtesy of the artist