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Non si sa se la “Verità per Giulio Regeni” sia più vicina, ma fatto sta che a quasi un anno dalla scomparsa del giovane ricercatore salta fuori colui che è indicato come “il leader degli ambulanti” della metropoli egiziana, che avrebbe registrato e consegnato una telefonata di Regeni ricevuta il 22 gennaio.
L’uomo si chiama Mohamed Abdallah, e ha rilasciato la confessione alla versione araba dell’Huffington Post, ripubblicata da L’Espresso da Brahim Maarad.
«L’ho denunciato e l’ho consegnato agli Interni e ogni buon egiziano, al mio posto, avrebbe fatto lo stesso. Solo il Ministro degli Interni si occupa di noi ed è automatica la nostra appartenenza a loro. Quando viene un poliziotto a festeggiare con noi a un nostro matrimonio, dà più prestigio». Al di là di affermazioni uscite dagli ultimi baluardi, duri a morire, di un militarismo endemico, la segnalazione sarebbe insomma venuta “dal basso”, per le troppe domande che faceva il giornalista.
«È illogico che un ricercatore straniero si occupi dei problemi degli ambulanti se non lo fa il Ministero degli Interni», ha affermato Abdallah nell’intervista. «Quando io l’ho segnalato ai servizi di sicurezza, facendo saltare la sua copertura, lo avranno ucciso le persone che lo hanno mandato qua». Non solo vittima insomma, ma anche infangata: colpa – per Regeni – del suo lavoro e dell’Università di Cambridge e di aveva permesso la sua spedizione in Egitto. Il risultato, per ora, ci sembra una mezza verità. Come questa testimonianza, troppo infamante nei confronti di un’autorità a cui si “porta rispetto”, e ancora piena di vuoti.