18 gennaio 2017

Rabbia e Giustizia

 
Un caso (tra tanti) che brucia ancora al ricordo. E che fa male all'onestà di un Paese che per otto anni ha visto perpetrato il tentativo di occultare una verità inconfutabile, nascondere l'evidenza del male. Un male operato da chi dovrebbe promuovere la lealtà, la sicurezza, e la cura

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Volevo intitolare questo “Fatto” ACAB: All cops are bastards. Poi no, poi ho pensato che non si può fare di tutta l’erba un fascio, che devono esserci distinguo, che la diversità è la nostra ricchezza. Tutte quelle belle paroline speranzose, dignitose e vive, di cui si sono ampiamente strafottuti quelli che hanno condannato a morte Stefano Cucchi, in una delle pagine più diffuse e sommerse della storia delle Forze dell’Ordine: la violenza. 
Quando l’ex Sindaco di Milano Letizia Moratti diede il benestare alle “Ronde” qualcuno scrisse sui muri della città “E dalle ronde chi ci difende?”. Un messaggio lapalissiano, che solo chi non vuole vedere ha il coraggio di negare.
E nessuno difese dai “controlli” della polizia Stefano Cucchi, come nessuno difese il giovanissimo Federico Aldrovandi di Ferrara in via dell’Ippodromo, quando rincasò una notte del settembre 2005 e ad aspettarlo ci furono talmente tante manganellate da spedirlo all’altro mondo. “Colpa della droga” dissero quelli della Narcotici agli amici del giovane, convocati in caserma poche ore dopo il “controllo”. Chissà che turbamento aveva suscitato l’atteggiamento “scalmanato” del ragazzo; chissà quale orgasmo da senso di potere di fronte alla sua paura; chissà quale orgoglio machista di fronte a un ragazzino sballato. Chissà quale inferno, per aver incontrato una maledetta pattuglia decisamente sfaccendata, in servizio sulla propria strada.  
E ora che per Stefano Cucchi – nell’inchiesta bis – la verità è venuta a galla, ovvero che non è morto né di fame e sete, né “per cause ignote alla scienza medica”, né di epilessia, ma che si è trattato di un omicidio preterintenzionale, la cosa che più dà sui nervi, per non dire altro, è che ci siano voluti otto anni per imputare le responsabilità ai protagonisti di questa orrenda vicenda; il maresciallo, i carabinieri e anche il personale dell’Ospedale Pertini. Che ora ci auguriamo non abbiano il barbaro coraggio di chiedere né scusa, né perdono. 
Perché mentre omicidi legati a questioni “professionali”, a regolamenti di conti, motivi passionali, fintanto compiuti ad opera di mitomani, serial killer, maniaci, possono essere idealmente tollerati nella loro percezione, è invece indicibile che coloro che rivestono il ruolo di tutori della legge, e anche della salute, possano trasformarsi in aguzzini degni dell’IS, simili ai “dottori” che sperimentavano nei campi di sterminio, in un vortice senza coscienza che nemmeno a Guantanamo con gli accusati di terrorismo internazionale. Ve lo ricordate che è facile prendersela con i più deboli? Ricordatevelo, se vi capita, perché si tratta di un atteggiamento patologico. E la patologia, ammesso sappiate cosa sia, non dovrebbe avere a che fare con la divisa. (MB)

1 commento

  1. Nessuna scusa per l’omicidio preterintenzionale.
    Comprensione però per persone ( e mi riferisco agli agenti delle forze dell’ordine ) che quotidianamente lottano per garantirci una serena convivenza, ad onta di leggi che sembrano tutelare più i “cattivi” dei “buoni”.
    Forse leggi più chiare (e meno interpretabili) consentirebbero una maggiore serenità nelle loro azioni e mitigherebbero il senso di frustrazione di chi tanto fatica per assicurare alla giustizia delinquenti che nemmeno mezz’ora dopo l’arresto escono liberi e beffeggianti.

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