20 gennaio 2017

Fino al 30.I.2017 Domenico Spinosa, 100 anni dopo Museo Pignatelli, Napoli

 

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«C’è stato un cataclisma. La cosa ha fatto del rumore, ribollimenti, bengala, cataratte. C’ero dentro, ne ho approfittato. Ho utilizzato questa materia», dice Louis-Ferdinand Céline in una famosa intervista del 1960, descrivendo l’esperienza della Seconda Guerra Mondiale, vissuta dalla sua posizione di narratore in primo piano. Oggi, le sequenze di Aleppo, Palmira e di altre decine di città fantasma risiedono stabilmente nella nostra enciclopedia percettiva ma, all’indomani del conflitto, l’anatomia degli edifici distrutti dai bombardamenti, il segno grafico impresso sulle strade polverose, i chiaroscuri del pieno e del vuoto sulle facciate rivoltate, emergevano come una nuova sostanza visiva, un’estetica ancora non codificabile in immagini e incredibilmente affascinante. Per rendere comunicabile questa condizione, si ricercò la sintassi più adatta, una sperimentazione senza precedenti per vastità di esiti, dalle compressioni di César alle dilatazioni di Arman, dalle masse informali di Jean Fautrier agli indefiniti brandelli di realtà di Mimmo Rotella.   
Ma a Napoli, completamente distrutta dagli oltre 200 bombardamenti che ne sovvertirono la topografia e attraversata dalle truppe alleate, si svolgeva una situazione di isolamento narrativo, tale che, nel 1954, il grande giornalista Nello Ajello doveva scrivere: «Napoli sepolta nella guerra, non aveva avuto un suo poeta né un suo reporter, perché per tutti era stato troppo difficile e sorprendente il sopravvivere all’arida tragedia di quegli anni per poterla subito fissare e prolungare in una memoria, in un diario». Eppure, questa condizione di silenzio forzato, di sgomento, doveva imprimere una svolta decisiva alla ricerca di alcuni giovanissimi artisti diventati, poi, maestri dei modi visivi della seconda metà del XX Secolo, tra i quali Domenico Spinosa. A cento anni dalla sua nascita, un’ampia retrospettiva, a cura di Aurora Spinosa e Valentina Lanzilli, promossa dal Polo museale e dall’Accademia di Belle Arti, in collaborazione con il Museo di Capodimonte, ne ripercorre cronologie e temi, in un itinerario che unisce sedi istituzionali e scorci di città, partendo a pochi metri dal mare, da Villa Pignatelli, tra i luoghi simbolo dell’incontro tra antico e contemporaneo, proseguendo nel centro storico, all’Accademia di Belle Arti, sua seconda casa per lunghi e intensi anni, e chiudendo il cerchio dalla collina di Castel Sant’Elmo, nelle sale del Museo Novecento. 
Domenico Spinosa, Interno grigio, 1958, olio su tavola, Treviso, collezione privata
Confrontando la sequenza delle opere esposte in questo lungo percorso – dalla Macchina per tessitura, del 1956, a Gabbiani in bianco, del 1986, passando per Incontro imprevisto, del 1965 – con le sperimentazioni coeve di altri artisti, emerge uno strato narrativo comune, sorto dalle ceneri della guerra e dell’esaurimento delle Avanguardie storiche, un alfabeto di gestualità avvolte nel groviglio di una materia non completamente formata. Spinosa faceva parte di quella generazione di artisti, tra i quali Guido Tatafiore e Renato Barisani, che, avvertendo un’eco distante delle tendenze europee e americane, riuscì a dare un impulso decisivo al rinnovamento della linea espressiva napoletana, legata ai modi del vedutismo tardo ottocentesco, come hanno ricordato Philippe Daverio e Nicola Spinosa, storico soprintendente del Polo Museale Napoletano, dal 1984 al 2009. Ma la pittura di Spinosa, estensione di una personalità tuonante, non punta alla dissoluzione delle cose, la tragedia della scoperta del nulla sfuma nella piacevolezza del tratto, nel disegno accuratamente articolato dalla scansione esatta dei colori. L’eroismo della sofferenza e della ricostruzione, la struttura epica della grande storia appena vissuta, sono elementi che passano in secondo piano, declinati nella visione di una bellezza intima e dagli accenti ben calibrati, una purezza pittorica, tecnica e sentimentale insieme, che fa confluire ogni cosa in una trama fittissima, le asperità dei muri sbrecciati, la ruvidità degli oggetti quotidiani, la pacatezza dei semitoni in certi momenti della giorno e della notte. 
Mario Francesco Simeone 
mostra visitata il 6 dicembre 2016 
Dal 6 dicembre 2016 al 30 gennaio 2017 
Domenico Spinosa, 100 anni dopo 
Museo Pignatelli – Casa Della Fotografia
Riviera di Chiaia, 200 – 80121 Napoli
Info: sspsae-na.uffstampa@beniculturali.it
Orari: aperto tutti i giorni dalle 8.30 alle 19; chiuso il martedì

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