22 gennaio 2017

Hirst a tutto tondo, tra “tormento”, ricordi e aspirazioni. Aspettando la mostra da Pinault, ancora avvolta dall’ombra

 

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L’ispirazione, dice a Stefano Bucci che lo ha intervistato sul numero de La Lettura del Corriere della Sera in edicola oggi, viene da tutto. Parola di Damien Hirst, l’agnello – è sempre lui a definirsi così – dell’arte contemporanea mondiale. 
Guarda a Bacon, De Kooning e Goya, ma prima che un artista vorrebbe essere ricordato come un “buon padre”. Dà consigli ai giovani artisti (tirate fuori tutto quello che avete dentro senza paura, ma siate il più professionali possibili) ma non scuce una parola su quello che sarà il progetto per Palazzo Grassi e Punta della Dogana, che aprirà in occasione della prossima Biennale di Venezia. 
Ma sulle pagine della Lettura, a ben guardare, ci sono indizi in filigrana: Hirst ricorda il ciclo della vita (e dunque della morte) presente in moltissimi suoi cavalli di battaglia, parla di agnelli e squali, del suo allevare animali nella sua tenuta di campagna “Per passione e non come potenziali lavori”, e parla anche della sua ultima grande soddisfazione: l’aver messo a disposizione di tutti la sua collezione, in quella che è la gallery di Newport Street a Londra.
E se la mostra veneziana sarà la “prima grande personale di Hirst in Italia dopo quella all’archeologico di Napoli nel 2004”, forse un po’ di mistero stavolta si dissolve. Che ne dite di un mix tra lavori inediti, vecchie opere e pezzi della sua collezione, appunto? Un altro “Museo Hirst”, ma stavolta temporaneo. Potrebbe? Chissà. 

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