27 gennaio 2017

“ZERO” gravity

 
Incontro con Andrea Amichetti, fondatore dell'ormai storico e tascabile “magazine” per il divertimento e la cultura: ZERO. Che ha cambiato anche il modo di pensare la free press

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Era, ed è ancora, di tutti. La consultano quelli che cercano una mostra, quelli che vogliono le recensioni del bar, chi aspetta un concerto e non sa quale scegliere, i discotecari (ammesso esistano ancora), chi è in cerca di un aperitivo e chi si dice “Ehi guarda, c’è ancora ZERO!”, ricordando un po’ il passato. 
Ebbene sì, ZERO c’è ancora. Che cosa sia lo sappiamo tutti: è stata la Bibbia per chi arrivava giovane a Milano, Roma, Torino e cercando di distrarsi dai tormenti scolastici ed esistenziali (forse parlo per me) si infilava in un bar con qualche compagno di università, senza sapere esattamente se era nel posto giusto, o in quello che avrebbe cercato da lì a poco. ZERO, in questo, è stata quasi una guida spirituale. Il libro rosso dei nottambuli, il breviario prezioso per chi Milano (e le altre città) voleva bersele nonostante fossero passati da un pezzo gli anni ’80. E ora che ZERO festeggia, appunto, i suoi primi vent’anni, è tempo di fare il punto della situazione. Primo perché il 1996 è lontano anni luce; secondo perché Milano è irriconoscibile rispetto ad allora; terzo perché a qualcuno in questi anni è andata voglia di andare a dormire, e dunque si è rimodellato il pubblico. Ma noi ancora non abbiamo sonno, e Andrea Amichetti men che meno…e infatti sabato 28 gennaio si festeggia a Macao, con un party lungo 20 ore. Ecco qui, invece, le nostre 20 domande.
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Ma come ti è venuto in mente?
«Avevo 20 anni, mi piacevano i giornali, non avevo una lira, volevo divertirmi con i miei amici e fare il lavoro che mi piaceva».
Cosa hai fatto per iniziare?
«Con due amici, ci siamo messi in casa e ci siamo arrabattati, chiamavamo i locali, impaginavamo, andavamo in giro: concerti, discoteche, bar, mostre».
C’erano ancora le schede telefoniche…
«Certo, e ci aprivo la porta di casa quando dimenticavo le chiavi».
I locali, ricordo, erano costellati dei vostri espositori…
«Durante i primi anni non avevamo espositori, perché non avevamo i soldi per farli. Ci aiutavano i ragazzi di Promocard a distribuire ZERO. Poi, nel 2006, li abbiamo disegnati noi, di due tipi: quello da banco, per i locali che avevano meno spazio, e quello da terra, per i locali più grandi. ZERO è sempre stato distribuito in locali abbastanza piccoli, per conoscere meglio il lettore».
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Da Milano siete arrivati un po’ in tutta Italia: un virus!
«Sì, a Milano il giornale si faceva in casa. Si aprì a Roma, nel 1997, e poi a Bologna, Firenze e Torino, nel 1999. In quegli anni non c’era ancora Internet, e ZERO era l’unico giornale che diceva dove andare a divertirsi la sera. Il formato ci ha aiutato, leggero e tascabile: lo portavi dappertutto».
Quanto avevi in tasca per Zero?
«Di soldi non ne avevo. Sono arrivato a Milano a 19 anni, ero abbastanza squattrinato. Con la pubblicità locale, raccolta sui primi numeri, ci pagavamo le bollette, l’affitto e la spesa comune e poi ci davamo una paghetta per comprare sigarette e le piccole distrazioni. Con i clienti nazionali, che agli inizi si contavano sulle dita di una mano, ci pagavamo la tipografia».
Dimmi com’era Milano nel 1996, E nel 2006? E oggi?
«Gli addii, quelli che vanno, quelli che restano».
Errori commessi?
«Sto facendo un’intervista».
Intuizioni geniali?
«Adottare un maiale a distanza per la redazione».
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Domanda seria: com’è cambiata l’editoria da allora?
«Siamo tutti editori oggi».
Zero al tempo dei social network. Meglio Facebook o la carta?
«Meglio fare ciò che ami, carta o Facebook».
2mila collaboratori in vent’anni hanno scritto per ZERO: li hai pagati tutti?
«No, non ne avevamo il denaro. Per anni ci si ritrovava al bar o al ristorante due volte: luglio e dicembre. Si beveva gratis tutti dalle 19 a notte fonda. Si iniziò con il Bar Basso all’inizio del 2000».
Non ti sei un po’ annoiato dopo vent’anni?
«È la mia vita, conosco il mondo grazie al lavoro che faccio».
Cosa pensa uno “Zero” dei Milanesi Imbruttiti?
«Coraggiosi, gli voglio bene».
Il divertimento è cambiato?
«Si, è cambiata l’immaginazione».
Il tuo posto del cuore
«Le persone che amano la loro arte e il loro mestiere».
Quello che detesti
«Boh…».
Vedi un erede?
«Si».
Matteo Bergamini

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