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La scena artistica della Grande Mela è in continuo movimento e non si accontenta di invadere lo stato di New York, andando ben oltre Manhattan, ma si allunga anche nel New Jersey. È qui che da qualche anno, esattamente a New Jersey City, è sorto un grande centro per le arti contemporanee: il MANA.
Gli spazi, ricavati da strutture ex industriali, sono molto vasti e ben attrezzati con luoghi espositivi, studi d’artista e aree per lo spettacolo dal vivo, oltre al piano terra parzialmente occupato dagli uffici. Ma, a parte qualche eccezione come la mostra di Arnulf Rainer e la recentissima installazione video e acustica dell’artista newyorkese Anita Glesta, la qualità è piuttosto bassa.
Gli studi d’artista visitabili offrono spesso un panorama sconcertante dell’arte made in New York. Perché questa strana città, tolti i grandi musei, le supergallerie di Chelsea, qualche galleria di ricerca e spazi indipendenti concentrati soprattutto tra Bushwick e il Lower East Side, ha una qualità media della produzione artistica piuttosto bassa, che risalta ancora di più considerando l’enorme quantità di artisti presenti.
Il MANA poi non è neanche particolarmente amato dagli addetti ai lavori. Messo in piedi da un gruppo di investitori israeliani, è noto per discriminare tra artisti ebrei, meglio se proprio israeliani, e non. Insomma, ragioni politico-culturali avrebbero la meglio sulle scelte curatoriali.
Perché ve lo raccontiamo allora? Perché i soldi non bastano e di scivoloni è pieno il mondo dell’arte. Anche a New York.