10 marzo 2017

Fino al 21.III.2017
 Zanbagh Lofti, È stato forse ieri Galleria Richter Fine Art, Roma

 

di

“È stato forse ieri”. Questo è il titolo di un piccolo olio su tavola eseguito a inizio anno da Zanbagh Lofti (Teheran, 1976) che dà il nome alla sua personale in corso alla Galleria Richter Fine Art di Roma. Ma non solo. È anche il titolo del nuovo capitolo della metamorfosi della memoria dell’artista d’origine iraniana (e fiorentina d’adozione), sospesa in un raccordo emblematico tra spazio e durata.
I suoi ultimi lavori, infatti, continuano a dipanare l’intricata matassa dei fili, annodati dal tempo, del suo vissuto personale, la sorgente da cui scaturisce trasbordante la sua invenzione artistica. 
In una vera e propria genealogia della visione. Riavvolgere continuamente il nastro della sua vita significa, per Zanbagh, aprire uno squarcio nel tempo e ritrovare un piccolo mondo troppo lontano, troppo vicino nell’anima. Tra ricordi veri e inganni della mente. Da qui la difficoltà di dare un nome a molti suoi recenti lavori, caratterizzati da una sequela di Senza titolo.
Attraverso l’alchimia di forme, colori e materiali, quasi in un processo di ipnosi regressiva, l’artista riesce a riportare a galla alcune verità rimosse, contraddizioni e ambivalenze recondite. Scardinando quei tabù consolidati negli anni della sua infanzia iraniana. Ecco, allora, spuntare, tra le undici opere in mostra, qualche titolo, un paio di emblematici Memory Vague, e poi Un bacio allungato, La maglietta di velluto, È sempre stata timida. E, come in un’epifania dai contorni slabbrati dalla nostalgia, sulle sue tele si manifestano, a tratti, scene di vita familiare, rumori ed echi di gente comune e vicende comuni, trasfigurati nella pasta della pittura. 
Zanbagh Lofti, Memory Vague 1361 (2015)
Ma ogni punto su cui si sofferma lo sguardo cede nel momento in cui si tenta di afferrarlo. L’inafferrabilità della sua pittura è impredicabilità del reale. Proprio quando si dissolve, l’immagine di Zanbagh diventa rivelatrice. Così si appalesano presenze ectoplasmiche, un continuo via vai di personaggi appena abbozzati, eppure perfettamente riconoscibili. Figure umane fissate in un gesto, una postura, una riflessione su una tela aspra, irrorata solo da colla di coniglio nella preparazione. Figure che si intrecciano a luoghi fantastici, architetture improbabili che, dal primo piano allo sfondo della composizione, quasi si rarefanno in un’astrazione caotica, evocando all’improvviso imprevedibili caleidoscopi. Senza indulgere mai nella rappresentazione oleografica o di maniera. Quella che Zanbagh propone all’osservatore non è realismo, ma osservazione del mondo fuori e dentro di sé perché, come sosteneva Fellini, il vero realista è il visionario. E l’utilizzo della fotografia, come fonte di ispirazione e punto di partenza del processo artistico, è strettamente legato alla scelta di una pittura che non deriva dall’osservazione della realtà, ma dall’immagine riprodotta della realtà stessa. Questa meccanicità della riproduzione tecnica non pregiudica, tuttavia, la calda umoralità e la palpitante espressività dell’opera con quel suo ricorso a un ordito di sfumature e di pennellate madide di materia… e di vissuto.
La disinvoltura della tecnica di Zanbagh (acquisita a Teheran e perfezionata a Firenze) non deve trarre in inganno. I suoi quadri non sono concepiti per essere belli in termini estetici, non sono mai ammiccanti. Il loro scopo è comunicativo e, spesso, narrativo. Come a ricordare all’osservatore che la morgana della rappresentazione è quella della memoria, mantenuta viva mediante la pittura. In un racconto che diviene corale. Tutte le sue opere, infatti, sono poste in una condizione di costante autorelazione e appartengono a un insieme, come una sorta di opera d’arte unica o, addirittura, come una “performance in progress” o un gigantesco patchwork. 
Queste recenti “geografie della memoria” di Zanbagh sembrano preludere a una nuova fase per l’artista, in cui la figurazione potrebbe scomparire del tutto lasciando posto a una pittura dagli esiti ancora più rabdomantici e, se possibile, lirici.
Cesare Biasini Selvaggi
mostra visitata il 4 marzo 
Dal 13 febbraio al 21 marzo 2017
Zanbagh Lofti, È stato forse ieri
Richter Fine Art
Vicolo del Curato 3, 00186 Roma
Orari: dal martedì al venerdì dalle 13.00 alle 19.30; sabato dalle 10.00 alle 19.30
Info: www.galleriarichter.com, tommaso.richter.85@gmail.com

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui