23 marzo 2017

Parigi effervescente

 
La capitale francese ha iniziato il 2017 con un fitto programma di esposizioni. Ne ripercorriamo le tappe in un tour dal Louvre al Musee de Parfum. Passando per il Tibet

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“Vermeer et les maîtres de la peinture de genre” e “Valentin de Boulogne Réinventer Caravage”, hanno aperto al Louvre in un allestimento fianco a fianco che forse è l’unico neo dell’operazione, due mostre troppo diverse e importanti per fronteggiarsi casualmente. La prima è stata allestita in collaborazione con la National Gallery irlandese e la National Gallery of Art di Washington, realizzata grazie a prestiti straordinari e collaborazioni delle maggiori istituzioni americane, britanniche, tedesche e olandesi, e raccoglie 12 opere del maestro olandese, un terzo della sua produzione totale, accanto ad altre di pittori meno noti oggi ma celebri nel Seicento, qualcuno proprio giustamente. La seconda propone, riunita, la imponente collezione, di proprietà del Louvre, di tele di Valentin de Boulogne affiancandole un cospicuo numero di opere provenienti da molti musei ed istituzioni persino la pala d’altare che il caravaggesco francese dipinse per san Pietro e ora ai musei vaticani Il martirio dei santi Processo e Martiniano.
La monografica di Pissarro al Marmottan, la prima a Parigi dopo 36 anni, e “L’Afrique des routes” al museo Chirac al quai Branly hanno ulteriormente arricchito la settimana di vernici. 
Valentin De Boulogne, David con la testa di Golia, 1615-1616
Il tour de force per il forestiero insaziabile era complicato dalle mostre che stavano per chiudere i battenti: la trionfale, “Icônes de l’art moderne la collection chtchoukine”, i capolavori della collezione dell’Ermitage portati alla Fondation Louis Vuitton di cui si è molto parlato; un’articolata esposizione sul Bauhaus, al Musée des Arts décoratifs, non eclatante ma didatticamente molto efficace e completa, non fosse per la parte finale tutta incentrata su artisti e designer francesi minori, epigoni contemporanei dello spirito del Bauhaus; la curiosa “Aventuriers des mers de Sinbad à Marco Polo”, all’Institut du monde arabe, che sembrava più una proposta per la costituzione di un museo del mare che un’esposizione di documenti e testimonianze, tuttavia salvata da un’accoglienza folgorante: una sala buia dominata da una proiezione su grande schermo di una inquadratura immobile, su un rincorrersi di spaventose, imponenti, altissime onde in alto mare che, pur incutendo terrore e un immediato incontrollabile mal di mare, incatena lo spettatore.
Ma l’inizio del 2017 propone altre novità eclatanti o, almeno, molto rappresentative dello spirito e della capacità di autopromozione francese.
Sulla riva della Senna, fra il museo Chirac e la torre Eiffel, all’incrocio tra quai Branly e avenue Rapp, si è inaugurato il fin troppo evidente centro russo ortodosso di Parigi voluto da Putin e progettato da Wilmotte & Associés. Un complesso architettonico molto vasto, bianchissimo, sormontato da cupole d’oro lucenti dalla tipica foggia della moscovita San Basilio sulla Piazza Rossa e in forte contrasto con la pelle opaca che avvolge tutti gli edifici, senza offrire alcuna trasparenza. Le polemiche avvampano, ovviamente.
L’Afrique des Routes, veduta della mostra
Di tutt’altro impatto il Grand musee du parfum che si è da poco aperto nei pressi dell’Eliseo, in un palazzo settecentesco non particolarmente prestigioso e appositamente restaurato. Un’operazione astuta, accattivante per i visitatori, fortemente autocelebrativa della storica tradizione nazionale, sottintendendone primato se non unicità. Dopo una accurata sezione storico-scientifica sono allestiti, in un percorso non facile per la folla di visitatori, svariati apparati espositivi divertenti ma, forse, un po’ troppo tecnologicamente sofisticati tant’è che non funzionano tutti e di taluni non si riesce neppure a cogliere la prestazione. Il tutto si conclude in un vasto salone dove vengono presentati tutti, o perlomeno gran parte, dei prodotti profumieri sul mercato, con grande prevalenza di marche francesi che da testare e, magari, comprare.
Altro tassello per la celebrazione della grandeur francese, in questo caso della moda, un’ardita mostra al Musée des Arts décoratifs: Tenue correcte exigée “Quand le vêtement fait scandale”. Tutto l’apparato espositivo ed esplicativo riferito al passato è affascinante: le parrucche alte quasi come torri, le babbucce alla polacca, i corsetti per uomo, lo smoking per donne e tutti gli strani aggeggi da mettere indosso che in ciascuna epoca hanno creato scandalo. In questa mostra sono infatti raccolti più di 400 pezzi che comprendono capi di alta moda, abiti di corte, abbigliamento prêt-à-porter, ritratti, caricature, accessori dai tempi remoti fino ai giorni nostri che sono, come affermano, un invito a tuffarsi nel cuore degli scandali che hanno caratterizzato i successivi tornanti della storia della moda o meglio delle mode. Quando poi si arriva ai giorni nostri, il costume e la tradizione dell’abbigliamento francese sono fortemente predominanti, se non esclusivi, e si assiste a una celebrazione del genio creativo dei couturier d’oltralpe che spadroneggiano.
Gao Bo, Les Offrandes, 2017, Maison Européenne de la Photographie
In un’offerta così esorbitante, scovare un’occasione preziosa come la mostra di Gao Bo, alla Maison europeenne de la photographie, richiedeva fiuto e fortuna. Questa grande retrospettiva dedicata al lavoro dell’artista cinese, a partire dalle prime fotografie tibetane fino alle installazioni più recenti, mette in evidenza tutti i suoi temi più cari e cerca di rivelarne la specificità dell’approccio, che compone riflessione concettuale e ricerca plastica, con un grande numero di opere in buona parte presentate per la prima volte in Europa. Gao Bo scopre la sua vocazione durante un viaggio in Tibet nel 1985, dove ritornerà molte altre volte nel corso degli anni’80 e ‘90, affascinato da una realtà così distante. Con la fotografia, celebra i riti millenari dei monaci e la vita quotidiana di un popolo intriso di spiritualità, nei grandiosi paesaggi montani, scabri e pietrosi e di queste prime opere in bianco. Seguono le rielaborazioni successive su quel materiale, operando con segni e testi, applicando inchiostro, pittura, tracce del proprio sangue. Nel corso degli anni, gli interventi dell’artista sulle sue fotografie diventano più estremi, muovendosi verso la performance. Così, ricopre di vernice nera gigantografie, dà fuoco a gruppi di ritratti di condannati a morte e ne raccogli le ceneri, talora durante l’inaugurazione interviene sulle sue opere e negli spazi della galleria dove sono esposte. 
Giancarlo Ferulano

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