04 aprile 2017

Anche gli adulti fanno “Oh”. Con “Giro Giro Tondo Design for Children”, la mostra alla Triennale Design Museum che apre la settimana del Salone del Mobile a Milano

 

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La mostra “Giro Giro Tondo Design for Children” ideata per la X edizione del Triennale Design Museum a cura di 11 curatori suddivisa in dieci sezioni mette inscena una “ludoland “della creatività aperta a i bambini di ogni età, dove attraverso il gioco, il piacere della scoperta del sapere, incanta genitori e figli. Il sipario sul mondo dei balocchi e del design infantile si preannuncia nel Quadratino rappresentato all’entrata del percorso espositivo, mentre strizza i grandi occhi irresistibili e furbetti. Questa faccetta è tra i primi personaggi a fumetti in Italia, color rosa pallido, disegnata da Antonio Rubino per insegnare la geometria ai bambini e pubblicata sul “Corriere dei Piccoli” nel 1910. 
Questa è la simpatica mascotte della mostra che conduce lo spettatore a ripercorre le tappe del design dell’infanzia, non semplice come appare, ma all’altezza di bimbo in cui l’approccio alla conoscenza della realtà passa dal gioco, dallo stupore  del mondo. La prima sala incanta grandi e piccini, perché come al solito la Triennale punta sull’impatto scenografico dell’allestimento: in una stanza oscurata con pareti e pavimenti riflettenti ideata da Stefano Giovannoni, maestro del design ludico, che ha messo in scena oggetti in versione maxi e coloratissimi, ispirati a suggestioni letterarie alla Lewis Carroll, e un mondo così fuori squadra alla Triennale non si era mai visto!  
Divertono Cico di Giovannoni, il Piede di Gaetano Pesce, il Nano di Kartell, la Robbit Chair di Qeeboo, la poltrona Proust di Mendini, il Merdolino di Alessi, Cactus e il Pratone, icone  del design ludico progettato nel 1971 da Gruppo Strum. Sono da vivere con l’entusiasmo infantile le sezioni dedicate a Bruno Munari e Riccardo Dalisi, eterni bambini nel loro approccio creativo ai materiali .Tutti gli oggetti esposti sembrano animarsi muoversi da un momento all’altro nello spazio algido della Triennale irrorata da luce naturale proveniente dalle finestre sul parco. È un piacere sostare nel dehor in erba sintetica e tra una sezione e l’altra, perché anche le cinque sezioni dedicate al rapporto dei bambini con gli arredi, i giochi, l’architettura, la grafica e l’educazione con oggetti e documenti iconografici diversi sono il punto di forza che gettano un ponte tra passato e futuro. Incantano i cavallucci a dondolo, lettini, camerette così vintage ma belle, e altro ancora. 
Un mondo di cose che narrano mondi lontani, storie di come eravamo (agli adulti) e sorprendono i nativi digitali di oggi. Sono una chicca il cavalluccio meccanico di Depero, la culla di Portaluppi, il banchetto di vetro di Gio Ponti, la mini sedia Carimate di Magistretti, a cui seguono gli arredi contemporanei da Zanuso a Sapper degli anni ’70, fino  all’Abitacolo: l’ambiente a misura di bimbo vietato agli adulti curata da Alberto Munari psicologo, il figlio di Bruno. In questo “giardino d’infanzia” della progettazione di design infantile non poteva mancare una  sezione dedicata a Pinocchio con un grande libro-scaffale ricolmo di tutte le versioni di Pinocchio, il burattino di legno dai sentimenti più umani di molti adulti anche nei suoi difetti, oggi obsoleto e nella pancia di una balena “morbidosa” stilizzata, si può vedere  montaggio di disegni animati di Maurizio Nichetti, dove tra un immagine e l’altra in movimento i bimbi “scafati” di oggi scoprono un mondo più puro, narrato da storielle banali ma così poetiche  nella loro semplicità. Libri, giochi, architetture all’avanguardia come l’asilo Sant’Elia di Terragni a Como, gli alfabetieri, le pagine reinventate di Munari del 1945, questo e altro ancora ci ricorda che in ogni bambino si cela un potenziale designer. Ottima idea di rivestire il pavimento ricoperto di resina colorata (sul modello di quella utilizzata nei parchi giochi), dove fanno capolino le scritte “memoria”, “immaginazione”: chiavi di lettura di questa mostra che ci raccomanda di non dimenticare i bambini che siamo stati. Il valore aggiunto sono le diverse stazioni che permettono ai bambini di giocare, disegnare costruire e smontare oggetti con costruzioni colorate, figure per ore condividere esperienze giocose con altri giovani visitatori, e nel gioco si annullano le differente etniche, culturali, religiose e di ceto sociale perché il divertimento è anarchico. Silvana Annichiarico, direttrice del Design Museum ha ricordato che negli anni Cinquanta, con la Carta dei diritti dell’infanzia (1959) sono nati lo Zecchino D’oro e il Salone del bambino e  una mostra che investiga il design infantile oggi ancora poco indagato apre nuovi orizzonti creativi e progettuali che  sottende due intenti: primo ci invita  a  tornare bambini  da adulti ed è un’impresa faticosa, cinici come siamo diventati, secondo l’intento è di educare gli adulti di domani a vivere il museo come un giardino d’infanzia interattivo, relazionale e inclusivo dove s’imparano giocando tante cose e a relazionarsi con gli altri. 
La mostra, inoltre comprende una sezione dedicata ai pedagogisti “rivoluzionari” come Maria Montessori e i materiali poveri delle sorelle Agazzi, utilizzati dai bambini di ieri per costruirsi dei giochi da soli fino ai teatrini multimediali di oggi di Reggio Children. Fino al 18 febbraio 2018, catalogo  Electa. (Jacqueline Ceresoli) 

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