13 aprile 2017

Una “Continua” per tre

 
Alaoui, Attia e Solakov a San Gimignano, artisti e poetiche sulla frammentarietà del presente. In una galleria che è un efficace esempio di museo diffuso

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Sino al 23 aprile visitare la Galleria Continua a San Gimignano è come andare a vedere uno straordinario museo diffuso con tre mostre di grande interesse: quelle di Leila Alaoui, Kader Attia, e Nedko Solakov. Un’opportunità davvero speciale per il contesto nel quale ci si muove, San Gimignano e la sua cornice collinare, e per gli spazi che si visitano, come il vecchio cinema, sede principale della galleria, ma anche l’appartamento in disuso all’ultimo piano di uno fra gli edifici che fronteggiano la Piazza della Cisterna o le sale medioevali nelle quali le opere trovano spazio e storia. Ma l’opportunità sta soprattutto nelle mostre proposte, costruite come veri e propri progetti su temi e soggetti che appartengono alle ricerche più attuali degli artisti coinvolti e che mettono in scena opere direttamente concepite per i luoghi prescelti, indipendentemente dalla loro “vendibilità”. Esattamente quello che ci aspetteremmo di trovare nelle mostre di musei ed istituzioni di arte contemporanea ma che, soprattutto in Italia, per motivi di budget o per scelte di attrattività, è sempre più raro incontrare. Per tutti questi motivi, accanto alla fondamentale scuderia di artisti internazionali diversi per pratiche e poetiche, la Galleria Continua si conferma in unicità e qualità dimostrando una capacità organizzativa straordinaria per efficacia e stile nelle sue quattro sedi di San Gimignano, Pechino, Les Moulins e l’Avana.
Leila Alaoui, dalla serie - Les Marocains -

Intensa e struggente la mostra della fotografa e videoartista Leila Alaoui (1982- 2016) che si apre sul breve testo Je te perdonne scritto da Yasmina, la sorella dell’artista, immaginando le parole che Leila avrebbe potuto rivolgere al suo omicida (l’artista muore a 34 anni, nel 2016, a seguito delle ferite riportate nell’attentato terroristico di Oagadougou, in Burkina Faso, dove stava lavorando per Amnesty International). Un’introduzione sul concetto di perdono che ribadisce tutta l’attenzione di Leila Alaoui per un’umanità lontana e distinta da quella delle immagini stereotipate e delle statistiche, a cui l’artista ha saputo restituire, con campagne fotografiche e ritratti, singolarità e dignità. In mostra le fotografie a colori e in bianco e nero di No Pasara che svelano i volti di una gioventù marocchina alla ricerca di un passaggio verso l’Europa, ma anche la serie di immagini e il video Crossing che ritraggono migranti subsahariani, donne e uomini che hanno lasciato tutto alle loro spalle cercando una vita migliore. Stesso approccio di avvicinamento e di restituzione di dignità e storia per Natreen, i ritratti dei rifugiati siriani, realizzati in Libano nel 2013, infine alcune fra le immagini della bellissima serie Les Marocains, progetto per il quale Leila Aloui ha percorso il Marocco con uno studio fotografico mobile. Ciò che emerge nel lavoro di questa artista, la cui opera oggi è curata dalla fondazione che porta il suo nome, è la rivendicazione di un’estetica personale e autonoma, tesa a dimostrare la possibilità di un impegno e di un incontro con l’immagine umana contrapposta al folklorismo passivo o al reportage emozionale.  
Kader Attia, Reflecting Memory

La seconda e più grande mostra è quella di Kader Attia, dal titolo “Reflecting Memory” che è anche il titolo del suo ultimo video-documentario – con il quale l’artista ha vinto l’ultimo Prix Marcel Duchamp – sulla sindrome dell’arto fantasma. Presentato nel grande cinema, il video racconta, attraverso interviste a chirurgi, neurologi, sociologi e psicoanalisti oltre che a mutilati, la storia della persistenza del dolore in assenza del soggetto dolorante e, a partire da ciò, allarga la riflessione sulla persistenza della memoria come riparazione, forma di riappropriazione e di resistenza. Tutto intorno molte opere realizzate con specchi, materia che rimanda al reale ma che non è in grado di coglierne l’essenza offrendo un’immagine transitoria del nostro corpo e dello spazio che lo contiene. Un enorme tappeto di specchi rotti occupa tutto lo spazio della platea e riflette l’architettura restituendone una frammentazione drammatica, un grande specchio ghigliottina che, attraversato dalla luce, si riflette sul pavimento e infine sculture-specchi che dividono strumenti di lavoro e di vita. E poi sequenze di vecchi arti, appoggiati ad una panchina e riflessi nel grande specchio sulle scale, simboli inequivocabili di traumi e dolore e, accanto ad altre sculture di forte impatto, un grande lavoro site specific che si compone di un tortuoso passaggio fra punte acuminate (Noise, Silence) attraverso il quale si arriva ad una stanza abitata da animali, sculture e antiche maschere appoggiare su alte scaffalature di metallo (Objects of Desire) che immediatamente ci ricordano l’importante lavoro di Attia a Documenta (13) e l’infinita biblioteca costruita alla Whitechapel di Londra. Artista tra i più influenti della sua generazione, capace di convertire lucidi e complessi processi di interpretazione del nostro presente in opere di forte impatto e di immediata percezione, Kader Attia conferma un linguaggio vitale e tagliente nutrito dalle sue origini nord africane unite alla cultura europea e alla condizione cosmopolita di artista contemporaneo. 
Nedko Solakov, vista della mostra -Stories in Colour-

Terza ed ultima mostra dal titolo “Stories in Colour” è quella dell’artista bulgaro Nedko Solakov che, a distanza di oltre 12 anni, torna a produrre per questa mostra un’ampia serie di acquarelli a colori. Ironici e narrativi rappresentano una dimensione autobiografica che è diluita in piccoli e fulminanti racconti di vita quotidiana nei quali le convenzioni del vivere sono intrecciate con la realtà e l’immaginazione e dove l’imperfezione, l’errore e il fallimento sono elementi centrali che l’artista trascrive con umorismo e autoironia. Contrapposta agli acquarelli una piccolissima scultura che riproduce in oro una gomma masticata (A Shrunken Ego), un dipinto collage su un oggetto trovato (Ejaculating, 1987) oltre a un’ironica installazione di vecchi cartoni usati e accumulati in un angolo (The Box, 2008) che, quasi come avanzi di allestimento, nel giorno dell’opening riusciva a confondere molti fra i visitatori.
Paola Tognon

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