02 maggio 2017

Spoiler Biennale

 
«Quello che farò a Venezia è la risultante degli eventi accaduti in Turchia». Parola di Cevdet Erek
di Micol Di Veroli

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Suono, video design ed architettura sono i metodi espressivi di Cevdet Erek, artista turco in grado di sviluppare storie affascinati che richiedono la presenza dello spettatore per essere attivate. I suoi progetti artistici si sono spesso legati a doppio filo con le vicende politiche ed i tumulti sociali della sua patria. Erek riesce a fondere diversi universi, espandendoli su una linea temporale che stimola l’esplorazione sensoriale. Quest’anno l’artista è stato chiamato a rappresentare il padiglione della Turchia alla Biennale di Venezia. Noi lo abbiamo intervistato per voi, per il secondo appuntamento “SPOILER” 
Oltre ad essere impegnato nel campo delle arti visive sei anche un musicista. Questa epifania ti porta a creare opere con uno speciale senso del ritmo che stimola le percezioni. Puoi parlarci di questo particolare processo creativo? 
«Io respiro ritmo perché sono di Istanbul ed ancora vivo qui. Uso il ritmo nel suo senso comune, nella sua accezione musicale. Quindi il territorio non fisico del ritmo mi guida all’interno di qualsivoglia forma temporale. Esistono ritmi all’interno del mondo visivo e spaziale, all’interno del corpo umano, nei comportamenti sociali, nella storia e così via. Ho lavorato per creare connessioni tra questi ritmi per così dire collettivi e tra i ritmi musicali. In seguito ho compiuto esperimenti sul trasferimento di forme, linguaggi e media e sulla distillazione di forme ibride». 
Hai creato opere sulla percezione dei nostri tempi. Quale è la tua percezione della situazione contemporanea sia all’interno della tua nazione che all’estero?  
«Lasciami dire che la situazione, in questo momento, è veramente orribile. Dico questo  alla luce dello scorrere di così tanti eventi inaspettati su larga scala, come la sparatoria della notte di capodanno, che tra l’altro è successa proprio vicino a dove lavoro. Tutto questo rende difficile per me e per altre persone che ho intorno, riflettere sulla percezione di questo periodo storico. Comunque posso dirti che quello che farò alla biennale – che è in parte ancora sconosciuto a me ed al mio team – sarà la risultante di tutti questi eventi e vedremo in seguito come l’opera sarà relazionata ad essi». 
Cevdet Erek, A Room of Rhythms - Curva, 2014, Vista dell'installazione della mostra
Live sound, performance ed opere site-specific sono le tue cifre stilistiche. Pensi che il formato effimero sia quello giusto per l’espressione artistica?  
«Non ho un format predefinito che controlla le mie opere, non ho preferenze. Dipende da dove e quando qualcosa sta per essere creata, da quale collaborazione o energia individuale sta per attivarsi. Questo ed altre condizioni imponderabili regolano la mia arte». 
Le tue opere sono densamente immersive e gli spettatori giocano un ruolo importante per attivarle. Pensi che l’arte o gli artisti si dimentichino delle urgenze del fruitore?
«Si, nella maggior parte dei casi le persone dimenticano le urgenze degli altri o fanno finta di non riconoscerle». 
L’arte non dovrebbe essere un oggetto ma la scusa per un dialogo. Cosa ne pensi di questa affermazione? 
«Ah, è una frase di Douglas Gordon, vero? Posso confrontarmi con questo statement ma non direi mai “non dovrebbe”. L’arte come oggetto può essere meravigliosa». 
Cevdet Erek, Shading Monument for the Artist, 2009 Work produced for Centri/fugations, an exhibition of La Capella, an art space of Barcelona City Council, as a result of the exchange between Can
Hai recentemente realizzato una Colonna Sonora per il political thriller turco intitolato Abluka, per la regia di Emin Alper. Parliamo di un film che ha vinto il premio speciale della giuria al festival del cinema di Venezia del 2015. Puoi parlarci di questa esperienza?  
«Lavorare sulla musica e co-dirigere il suono per avere un’atmosfera ed un ritmo unificati è stata un’esperienza meravigliosa. Quell’atmosfera specifica è stata definita dalla violenza politica in Turchia e dalle condizioni psicologiche di un abitante dell’area suburbana di Istanbul. Il processo di produzione è stato in sincrono con la mia installazione A Room of Rhythms – Otopark alla 14esima Istanbul Biennial, all’insegna di un periodo molto denso di impegni lavorativi ma decisamente fruttuoso.  La mia esperienza al Festival del Cinema di Venezia in qualità di compositore ha una ripetizione annuale, ho partecipato alla competizione principale ed al premio della giuria con Sivas nel 2014 e Abluka nel 2015. Ciò mi ha concesso l’opportunità di visitare le biennali di architettura ed arte di quegli anni, prima di esser selezionato come artista rappresentante del padiglione turco nel 2017. In quel periodo ho parallelamente viaggiato sui vaporetti e su universi differenti ma connessi come musica, cinema ed arte, tentando di immaginare cosa avrei proposto se fossi stato chiamato a rappresentare il padiglione nazionale. Si è trattato di un buon esercizio mentale alla fin fine». 
Puoi fornirci qualche piccola indiscrezione sul progetto che presenterai? 
«L’installazione si intitolerà ÇIN ma invece di provare a descrivere un progetto che è stato pensato per essere vissuto on-site ed è ancora in fase di sviluppo, suggerisco di immaginare una scena insieme, come se si trattasse di un esercizio: C’è una rovina recintata che scorgiamo nella distanza, dentro il recinto una guardia presidia il sito per tutto il giorno. Mentre cammina in silenzio la guardia nota un visitatore che sbircia attorno ed un concerto di mille grilli ringrazia il visitatore. La guardia ed il visitatore, che cercano di parlarsi a distanza, lanciano un grido unisono, causato dal dolore alle orecchio per il violento rumore dei grilli uscito dal nulla. Più tardi, verso sera, in un altro luogo la guardia tenta di sopprimere il ronzio nelle orecchie aprendo un poco la finestra ma il ecco che scatta il suono dell’allarme ‘viyuviyuviyuviyu’,un rumore simile a quello dei grilli. In seguito si cerca di immaginare nuovamente tutta questa storia tornando all’inizio». 
Micol Di Veroli

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