12 maggio 2017

Pop da Hong Kong per dimenticare il disastro

 

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Ogni anno, di fronte l’ingresso dell’Arsenale si apre una porta, che affaccia su Hong Kong. “Canzoni in caso di catastrofe” è il titolo del padiglione che il paese orientale presenta in questa 57.ma edizione della Biennale di Venezia. Un lavoro di Samson Young, artista e compositore classe ’79, che dopo una formazione da musicista puro, ha traslato questo linguaggio nelle arti visive oltre che nella musica sperimentale. Nel progetto pensato per il padiglione Hong Kong l’artista parte da una serie di stimoli appartenenti alla cultura contemporanea. Il primo è uno degli elementi tradizionali della musica pop, il charity single, canzone realizzata da gruppi di musicisti dopo una catastrofe per scopi di beneficenza. Una sorta di evento storico, che ha spopolato negli anni Ottanta, in cui le pop star più famose erano riunite in uno studio di registrazione per cantare quella che poi sarebbe certamente diventata una hit. L’altro spunto dell’opera di Young è la storia di Boomtown Gundane, produttore di uno dei charity single in questione, realizzato dai Plaster Cast per rispondere al famigerato pezzo dei Band Aid, Do they know it’s Christmas, per raccogliere fondi da donare alle scuole britanniche. Questa notizia, scoperta dall’artista, si è poi rivelata un falso, ma è una verità ormai in voga sul web. A Venezia Young crea una casa in cui questo musicista immaginario potrebbe vivere, Palazzo Gundane, un luogo straniante dove il video, il suono e l’ambiente si trasformano in uno spazio in cui il personaggio si riflette, appropriandosi di alcuni elementi della vita dello stesso autore. Tende nere con titoli di canzoni pop si muovono sullo sfondo, divani in velluto, animazioni video e il suono delle canzoni pop riempiono gli spazi del padiglione, facendosi finestra sulla vita immaginaria di Gundane. Il percorso continua con la reinterpretazione da parte di Young di un’altra charity song, We are the world, di Michael Jackson e Lionel Richie, eseguita dal Kwan Sing Choir di Hong Kong, a volumi azzerati, e si chiude con due momenti negli spazi esterni, una citazione di Mao in lettere al neon, inno alla gioventù, che recita letteralmente “Il mondo è vostro, come è nostro, ma in ultima analisi è vostro” e un video in cui il testo della canzone di Simon & Garfunkel, Bridge Over troubled water, pezzo molto legato alle recenti inondazioni nella Cina orientale, si trasforma in una serie di numeri casuali. Sull’altra sponda del fiume si scorge una scritta: “Why have you forsaken me”. Un inciso, che chiude la riflessione e il percorso di Young. Perché mi hai dimenticato, è la domanda che ci fa l’artista, cercando di comprendere le ragioni che spingono prima ad una relazione empatica con i popoli colpiti da disastri naturali e non solo, e poi alla totale indifferenza. Quella di Young è un’opera che si svela nel percorso, in un dialogo tra spazi interni ed esterni e che parla di uno dei temi più attuali del momento: la post verità, e lo fa con molta ironia, attraverso un sapiente lavoro sul suono e dello spazio che rende lo spettatore partecipe di un lavoro in cui si riflette sul mondo contemporaneo, sulla post verità, e sulle nostre reazioni di fronte alle catastrofi. (Roberta Pucci)

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