19 maggio 2017

Il Guggenheim resuscita Brandon

 

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Nel 1993, il ventunenne transgender, Brandon Teena, è stato vittima di stupro ed omicidio, la sua storia è forse più comunemente conosciuta grazie al film Boys Don’t Cry, ma il tema venne esplorato, nello stesso periodo, dall’artista Shu Lea Cheang attraverso una forma  più fluida e sperimentale. Tra il 1998 e il 1999, Cheang creò “Brandon”, un progetto interamente creato in rete che rappresenta la prima commissione virtuale del Guggenheim.
Fanno parte del progetto le immagini ed i testi di artisti e scrittori che vi hanno contribuito, trattando il delicato tema dell’identità razziale e di genere.
Al tempo della sua pubblicazione in rete, il museo lo descrisse come “un lavoro che sviluppa la storia e la personalità di Brandon nello spazio informatico, attraverso narrazioni ed  immagini che si alternano su più livelli, la cui traiettoria porta a questioni legate alla criminalità attraverso un percorso trasversale tra  spazio reale e  virtuale”.
Sfortunatamente, negli anni le tecnologie si sono continuamente aggiornate e molti dei codici non venivano più supportati dai browser, lasciando l’archivio web per la maggior parte inaccessibile.
Ora “Brandon” ha ripreso pienamente le energie ed è stato riformattato e riaggiornato grazie all’intervento del museo, al fine di conservare l’archivio di arte digitale della sua collezione permanente. Gli esperti del Guggenheim hanno lavorato in collaborazione con gli studenti del Dipartimento di informatica della New York University, facendo molta attenzione a non rimuovere alcun file durante il ripristino.
Esplorando attraverso le pagine virtuali della storia di Brandon Teena ci si rende conto della complessità dei suoi livelli narrativi che rivelano frammenti di traumi che appartengono al mondo nella sua interezza e alle sue realtà più diverse.
Brandon rientra tra le  tre opere d’arte online commissionate dal museo che fanno parte della sua collezione permanente. Gli altri due lavori, entrambi datati 2002, sono firmati  John F. Simon Jr. e Mark Napier, rispettivamente intitolati “Unfolding Object” e “Net Flag”. Entrambi purtroppo non sono ancora del tutto accessibili attraverso gli attuali browsers, però il Dipartimento di informatica insieme al Guggenheim, hanno l’intenzione di ripristinare anche questi lavori nel futuro prossimo, reintegrando un patrimonio solo per ora andato perduto. (Gaia Tirone)

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