22 maggio 2017

Il cinema tra quarant’anni. O tra quattro

 
Da Cannes guardando a Venezia, una riflessione sul limite tra tecnologia e Tax Credit, per sottolineare l’importanza di una politica culturale. Fatta di pellicole e turismo “visionario”

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Spesso le organizzazioni pongono in essere azioni motivandole soprattutto attraverso il passato: sono le cosiddette “serie storiche”, per le quali sono disponibili dati, statistiche, obiettivi. Queste scelte si basano su due meccanismi prettamente “umani”: una naturale resistenza al cambiamento e, soprattutto, l’illusione della coazione a ripetere. La logica è semplice: se negli ultimi 10 anni il tasso di crescita delle vendite dei prodotti di un’impresa si è aggirato (anno su anno) intorno al 3 per cento, allora è probabile che gli esperti di marketing di quella impresa prevedranno per l’anno successivo una crescita analoga. Queste statistiche ci rassicurano, avvolgono di scientificità un bisogno che è prima di tutto, appunto, umano: la necessità di poter immaginare il futuro come scarto percentuale del presente. 
Una delle caratteristiche più stimolanti delle industrie culturali e creative è invece la vocazione naturale al futuro. Il sequel non va mai bene come il primo film; dopo La Vita è Bella, Benigni ha avuto due flop; opere dello stesso artista hanno quotazioni incredibilmente differenti; il secondo album di un musicista (non importa quanto sia pubblicizzato dalla propria major) è sempre un grande rischio.
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In settori come questo non è possibile immaginare il proprio futuro come scarto del presente. Chi vive e lavora in questo cluster, il futuro, deve necessariamente immaginarselo e contribuire attivamente a costruirlo.
Guardiamo ad esempio al settore cinematografico: il Festival del Cinema di Venezia, uno dei più importanti a livello nazionale e internazionale, presenta quest’anno la seconda edizione del “Venice Production Bridge”, un luogo dedicato ai produttori – e a quelli potenziali – cinematografici. Al Production Bridge, ci saranno spazi dedicati al Final Cut (uno dei più potenti software per l’editing video presenti sul mercato, ma che a Venezia è anche la mostra dedicata alle produzioni del Medio Oriente), al Forum Cinematografico Europeo e al Financing-Gap (ovvero lo studio della quantità di denaro necessario per finanziare le operazioni in corso o lo sviluppo futuro di un’azienda o di un progetto).
Più nel dettaglio, il “Venice Gap-Financing Market” è una piattaforma di sostegno per produttori europei e internazionali, volto ad assicurare il completo finanziamento dei loro progetti (fiction, documentari, serie per la televisione e per il web, Realtà Virtuale) attraverso incontri face-to-face con professionisti potenziali e appropriati (produttori, venditori, distributori, finanziatori, televisioni e fondi). 
Un market-place, in altri termini, in cui potenziali finanziatori incontreranno una selezione dei progetti presentati al bando indetto a Marzo 2017 e terminato negli scorsi giorni. 
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Perché è importante tutto ciò? Perché l’Italia ha avviato, proprio sull’industria cinematografica, forse l’unica politica culturale propriamente detta. Questa politica culturale ha un nome che ultimamente ha avuto un po’ di risonanza mediatica, ed è il Tax Credit. Perché è così importante il Tax Credit per il Cinema? Ci sono due modi per rispondere. Uno guarda al passato, l’altro al futuro.
Volendo assumere una prospettiva tipicamente industriale, potremmo dire che con il Tax Credit riusciamo ad incrementare il numero di produzioni cinematografiche di nazionalità italiana o in ogni caso girate sul territorio italiano, generando un impatto economico con un effetto moltiplicatore rappresentato dall’aumento della produzione, l’aumento dell’occupazione e gli impatti territoriali in termini di alberghi e strutture ricettive. Ma l’abbiamo detto. L’industria cinematografica è un’industria in cui si creano quei sogni che formeranno il futuro. In questo senso, che vantaggi reca al nostro Paese una manovra di incentivi indiretti alle imprese che producono cinema? 
Per rispondere, immaginiamo il cinema del futuro. Un futuro imprecisato, che può essere tra 40 anni o tra 4. Immaginiamo le persone che guardano un film, ciascuno con il proprio visore a realtà aumentata, ciascuno con la libertà di scelta di “visione” del film di uno specifico angolo dei 360 gradi disponibili. Connessione ad alta velocità, capacità di passare dal film al flusso di notifiche internet premendo un tasto. Ora immaginiamo che siamo noi, in quel futuro imprecisato a guardare un film in questo modo.
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È primavera, inizia il primo caldo e la maggior parte di noi già pregusta con piacere il momento delle tanto attese vacanze estive. È un film a 360 gradi, con una storia avvincente che ci tiene con il fiato sospeso fino a quando…fino a quando non vediamo uno scorcio bellissimo. Che non riusciamo a toglierci dalla testa. Era sulla sinistra, mentre invece guardavamo con il nostro visore al lato opposto. Torna indietro. Guarda. Dov’è questo posto? È un posto reale o è stato ricostruito negli studios o attraverso un software? 
Passa ad Internet, cerca questo posto. 
Il posto esiste (emozione positiva), si trova in Italia (emozione positiva).
Decidi quindi di aprire il navigatore a 360°. Ti immergi in quel territorio. Passeggi, lentamente, tra le sue stradine. Scopri che quello scorcio che ti ha attratto ti ha portato in un luogo meraviglioso. 
Emozione positiva e reazioni sinaptiche che evidenziano un’attività neurale associata alle aree del piacere. 
Il visore, che intanto registrava queste sensazioni, propone, in automatico, l’offerta di un tour operator: il posto è bello, ti piace, lo puoi raggiungere direttamente con un aereo low-cost e l’albergo te lo regaliamo noi se compri il viaggio nei prossimi 5 minuti. 
Affare fatto!
Beninteso, l’importanza della cultura e dell’industria cinematografica non è semplicemente quella di “attrarre turisti”. Se fosse soltanto questo il suo valore, tanto varrebbe (con il giro d’affari che genera) che l’Italia decidesse di regalare il volo a tutti coloro che decidono di viaggiare nel nostro Paese, soluzione che, tra l’altro, potrebbe essere una delle pochissime ancore di salvezza della nostra Compagnia di bandiera.
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Non si tratta semplicemente di pubblicità e turismo, ma attraverso un banalissimo meccanismo “vedi, decidi, compra”, è possibile raccontare meglio di qualunque altro modo quanto i prodotti culturali che chiamiamo “serie”, “film” o “documentari” incidano così tanto sulla nostra esistenza, sui nostri gusti, sulle nostre passioni. 
Riguardo poi la specifica visione del futuro, questa versione probabilmente piacerà a pochi, o a molti, ma non importa. Spesso il futuro serve solo a fornire la possibilità di motivare le proprie azioni sulla base di una proiezione. Per renderle tangibili, concrete, esponenziali.
La realtà della nostra cultura è che spesso, chi la governa, non riesce realmente ad essere parte di quel “futuro”. Certo, la sostenibilità economica di un progetto culturale è talmente importante che esso dovrebbe ormai rappresentare un pre-requisito dato per scontato (anche se purtroppo la realtà spesso dice tutt’altro), ma avviare progetti industriali nel gruppo delle industrie culturali e creative senza avere in testa una propria idea chiara del futuro è un atteggiamento di governo (o di investimento) poco adatto al comparto. 
Quando questo accade, e l’Italia ne sa qualcosa, il massimo che si riesce ad ottenere è sopravvivere con difficoltà. 
Stefano Monti

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