16 giugno 2017

La personale di Paolo Inverni, tra i progetti curatoriali vincitori del bando di Localedue a Bologna

 

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Il distretto MDA-Manifattura delle Arti a Bologna riserva puntualmente proposte di novità e qualità, manifestando un grande senso di coesione tra le gallerie che ne popolano il perimetro. L’una racconta dell’altra e insieme garantiscono un plus che dice sempre qualcosa del rapporto con la città. È stato così nel visitare “No idea how long” del piemontese Paolo Inverni che in questa mostra in Localedue concentra riflessioni su un importante spicchio del patrimonio storico-artistico di Bologna. E lo fa sospendendoci in una passeggiata solitaria, ognuno nelle proprie percezioni. 
Si tratta di una personale curata da Alessandra Franetovich che con questo progetto di mostra è tra i vincitori del bando di raccolta per curatori che la piccola galleria ha sviluppato lo scorso inverno. Secondo appuntamento della programmazione 2017-2018, “No idea how long” risponde perfettamente alla volontà di Localedue di offrirsi come spazio aperto alla sperimentazione, dove è possibile testare un’idea di mostra: quattro opere inedite dalla produzione più recente dell’artista, la cui ricerca è tutta tesa a testare linguaggi e media differenti, indagando – letteralmente – il concetto di punto di vista e la relazione con la realtà oggettiva presunta. Lo si evince, con bella sorpresa, nei due dipinti Madonna col bambino. Cima da Conegliano. 1495 circa e San Giorgio e il drago. Vitale da Bologna. 1330/1335 del 2017, laddove vengono studiate le traiettorie dello sguardo che intercorrono tra i protagonisti delle due tavole originali. Entrambe capolavori della Pinacoteca Nazionale di Bologna, sono sottoposti a un’interessantissima lettura semiotica e relazionale: l’immagine storica è oscurata, seppur riprodotta nei relativi veri formati, per lasciare emergere esclusivamente con segni grafici quelle che sono le direzioni degli occhi dei soggetti, tenendo in conto delle posizioni degli “oggetti” osservati, all’interno oppure all’esterno del quadro. 
Come sottolinea la Franetovich: «Alla molteplicità degli sguardi in atto concorrono anche quelli del pubblico, dando vita ad un sistema frammentario contro cui si scontra la presunta oggettività delle forme che caratterizzano le opere in mostra». Bologna e la geometria tornano in Again (stehee), installazione che “ridisegna” la pianta architettonica della Basilica di Santo Stefano, costruita di lastre che sovrapposte ingannano con giochi ottici lo spettatore durante il tentativo di osservare e interpretare l’opera. Infine, last but not least, a sottolineare la spinta di Inverni nel riformulare in una nuova immagine con nuove percezioni elementi già dati di opere e luoghi dei nostri ricordi visivi, c’è Remains (cno) del 2016, composta da diversi disegni che tracciano il profilo di scorci di una città non identificabile né riconoscibile. A ribadire che «in ciascuna forma è ravvisabile il concetto e il senso del luogo che appartiene ad ognuno di noi, e nelle suggestioni urbanistiche affiorano memorie collettive e individuali». (Cristina Principale)

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